La notizia è quella che ti squarcia la giornata. E dire che sei in pace con te stesso e per una volta ti godi l’aria di una mattinata di vacanza.
Basta una frase: “E’ morto Andy Brehme” che senti il bambino che c’è in te tirare un calcio agli stinchi sbuffando. No, certi eroi non possono morire. Lo avevamo già spiegato con Gigi Riva, idolo di una generazione che oggi ha i capelli bianchi e che per Rombo di Tuono darebbero fuoco a qualsiasi cosa.
Qua però c’è un’altra generazione a piangere. La mia. Quella dell’Inter dei Record.
Non è semplice buttar giù due righe su un tedesco che dall’Inter si è fatto amare per la semplicità, per la classe, per l’esser talmente forte di destro e di sinistro che ad oggi nessuno sa qual era il piede preferito.
Arrivato in sordina grazie a Lothar Matthaus, che nel 1988 non è il suo miglior amico ma che in un amichevole a Kaiserslautern rivela il suo passaggio in nerazzurro. “Dai, vieni con me, sarà speciale!“.
Mai rivelazione fu più magica. Andreas, che in Germania era un mediano, viene affidato alle cure del Trap, che tanto ha vinto con la Juve e tanto si sta accapponando nell’Inter. Nasce l’Inter dei tedeschi, raggiunti poi un anno dopo da Kata Klinsmann, ma è il 1988/89 a far innamorare chi guarda il calcio.
Il rullo compressore dell’Inter è impressionante. Vittorie su vittorie, 58 punti su 68 a disposizione, una fascia sinistra che ha in Brehme un protagonista esemplare, quanto per i cross e quanto per le conclusioni a rete.
All’Inter costa un miliardo e 600 milioni di lire, soldi ben spesi in quattro anni che forgiano in Andy il colore nerazzurro nel cuore. Prima gara in casa e prima conclusione in rete, con una gran girata, contro il Pisa, in un 4-1 in rimonta che presenta anche Lothar Matthaus nel tabellino dei marcatori.
Punizioni o rigori per Brehme non facevano grosse paure. Si arriva a Italia ’90, il mio primo mondiale. Quello in cui chiedo quasi in ginocchio a mia madre di andare a vedere Italia-Argentina nel garage dei vicini. Quel garage è il paradiso, una bandiera in ogni metro, la passione per gli Azzurri, anziani e giovani abbracciati stretti stretti in una semplice partita.
Ma poi io tifo Germania. Ho 6 anni e poco propenso a nascondere i miei sentimenti. Brehme, Klinsmann e Matthaus sono al di sopra di ogni nazionalismo. Ricordo che al rigore fallito da Serena, mentre tutti iniziano a buttar santi di qua e di la io mi avvicino ad una meravigliosa coppia di fratelli che nel mio paese erano (e saranno per sempre) la classe pura del tagliare i capelli, perché oltre all’eccellente lavoro di taglio chiacchieravi di calcio per ore e ore come fosse La Domenica Sportiva. Uno spettacolo!
Al “Francé abbiamo perso” è arrivata la risposta: “Poco male, tanto vince la Germania di Brehme e Matthaus, forse segnerà Klinsmann“. La risata fu fragorosa in un tempo che non ritornerà più ma che nel mio cuore esiste sempre. Con un grande abbraccio a zio Gavino e zio Gigi.
Però ritorniamo a Andy Brehme.
Il risolvi problemi. Già, perché in quella finale Mondiale è Lothar Matthaus l’incaricato dagli undici metri, ma il destino gli fa rompere lo scarpino e non fidandosi, il Lothar NazionalMondiale, guarda negli occhi colui che è la persona fidata per eccellenza. Andy. Tiro. Gol. Germania campione.
Così come Inter campione in contrapposizione al Milan degli olandesi, quando la Serie A era il campionato del mondo per eccellenza e in una via paesana completamente rossonera io dovevo fare il Bastian contrario e tifare per il mio Lothar, con Andy gregario di classe.
Oggi se ne va un pezzo della mia infanzia. Oggi piango come fosse un parente strettissimo che mi ha lasciato. Oggi il mio Andy sta lottando lassù, sorridendo, per chi si prende la maglia numero 3 dell’Inter. Se la giocano lui e Facchetti. Lassù c’è un gran paradiso di calciatori.
Non c’è bisogno di snocciolare numeri di gol, assist o trofei vinti. Brehme va al di sopra di ogni semplice numero.
Ciao Andreas. Non ti scrivo grazie di tutto perché le lacrime non me lo permettono.