Ven. Ott 11th, 2024

I Miti non muoiono mai. Al massimo non li vedi ma loro ci sono.

Da dove si inizia a parlare di Diego Armando Maradona? Non lo so e sinceramente dopo una notte insonne non ho neanche le idee chiare.

Se ne va un perno dell’infanzia di chi ha avuto la fortuna di conoscere il calcio negli anni 80. Diego arrivava al Napoli dal Barcellona, dopo che a 10 anni palleggiava con un’arancia o con una pallina da tennis, raccogliendo qualche spicciolo per vivere.

Si accorse di lui la squadra dell’Argentinos Juniors che lo fa esordire nel 1976, ad appena 16 anni, troppo giovane per essere nell’Argentina campione del mondo del 1978, con Marietto Kempes a imperversare nell’albiceleste.

“Ho due sogni, il primo giocare il mondiale, il secondo vincerlo”.

La malinconia attanaglia le parole, non le fa uscire come vorremmo. Maradona passa al Barcellona, dove lascia una caviglia per un intervento killer di Goikoetxea, con l’osso spezzato in tre punti e poi si vendica dello stesso scatenando una rissa nella finale (persa) di Coppa del Re contro l’Athletic Bilbao.

Diego viene squalificato per tre mesi. Ma chi se ne frega.

E’ il preludio alla favola italiana, Ferlaino e il suo Napoli scoprono che il ragazzo, il Pibe de Oro, vuole lasciare Barcellona, si fiondano a parlare col presidente Nunez e chiudono l’affare per 14 miliardi di lire ma i tempi si allungano improvvisamente.

Alle elezioni europee del 17 giugno si contano circa 25mila voti nulli, tutti con la scritta “Maradona”, perché tanta è la febbre che invade il calcio italiano.

Giovedì 5 luglio è il giorno di D10S, un piccolo riccioluto spunta dall’uscita degli spogliatoi dello stadio San Paolo, ha davanti a sé 60.000 spettatori accorsi per una semplice presentazione. L’amore tra Diego e Napoli ha lì la base. Altro che l’odio di Barcellona.

Avevo preso appunti sui numeri dell’avventura italiana di Maradona, ma poi li ho strappati. Non esistono schemi con Diego, non esistono i soli numeri, vado a memoria, chiudo gli occhi e vedo Pecci che gli tocca leggermente la palla contro la Juve, è una punizione, non ci passa neanche uno spicchio di luce eppure Maradona la mette lì, dove Tacconi non può arrivarci.

Ameri impazzisce, la radio racconta contemporaneamente la Serie A che nei 7 anni di Dieguito vede passare Platini, Zico, Socrates, Elkjaer, Gullit, Van Basten, Matthaus, Baggio, Vialli, Mancini e scusate se dimentico qualcuno.

Napoli è sola contro il nord e questo basta a gasare Maradona che con i colori azzurri del cielo vince due scudetti e si guadagna un posto nell’olimpo delle leggende.

Tra i due scudetti un’altra perla, vincere praticamente da solo un mondiale, quello del Messico 1986, dove in preda al potere di essere onnipotente vendica l’Argentina, come nazione, contro l’Inghilterra nella grana delle isole Falkland, poi umilia la squadra dei Tre Leoni in campo, dapprima in ciò che sembra un colpo di testa ma si rivela un gol di mano, “La mano de Dios”, poi, non contento, parte da meta campo e dribbla chiunque per depositare la palla in rete.

Contro la Germania viene tenuto a bada da Lothar Matthaus (L’avversario più forte mai incontrato disse Diego) nel primo tempo, ma visto che i tedeschi sono sotto ugualmente 2-0 lasciano più spazio al folletto col numero 10 che siglerà l’assist per il 3-2 finale.

Poi, casinisti italiani quali siamo, arrivano i mondiali delle Notti Magiche e dove vai a incastrare la semifinale Italia-Argentina? A Napoli, nella sua Napoli, nella Napoli che lo ama 365 giorni all’anno e 24 ore su 24.

Apriti cielo. El Diez porta la sua nazionale in finale dove perderà contro la Germania, in una finale che peccò di gioco ed entusiasmo, con il trofeo sollevato a fine manifestazione da Matthaus.

Lo stesso Matthaus, ad un evento dell’Inter Club, raccontò con orgoglio “Quella Serie A era il mondiale, tutti volevano giocarci, perché ci giocava Maradona e batterlo significava battere il migliore“.

Quei tedeschi che Maradona non ha digerito da allenatore, quando per il Mondiale 2010 è lui a guidare la sua nazione, alla sua maniera (il pullman arriva con i giocatori che cantano), convocando l’idolo della Bombonera Martin Palermo e lasciando a casa Zanetti e Cambiasso freschi di Triplete, andando a sbattere ai quarti per 4-0 contro la nazionale teutonica che non crede ai propri occhi per tanta allegria.

Maradona è stato così, prendere o lasciare, tanti amici che hanno tratto beneficio dal suo essere generoso e fragile allo stesso tempo, uno che come diceva Gianni Brera:

“Che Maradona fosse un genio, nessun dubbio è possibile. E che i geni siano un tantino squinternatidi cerebro, è risaputo e ammesso da sempre”.

Maradona ci lascia il 25 novembre, come un altro grande del calcio e degli eccessi, George Best, maglia numero 7, così da non litigare lassù sul 10, altro esempio di chi si è lasciato andare al successo piovuto addosso.

Gli eccessi che in 60 anni di vita di Diego mai sono mancati, ma a noi conta ricordare le perle vissute sul rettangolo di gioco, in quel prato verde che ha visto in Maradona il migliore di tutti.

Non riesco a trovare una fine degna per celebrare Diego. Son talmente tanti i flash, dalla danza nel riscaldamento contro lo Stoccarda ad un altro riscaldamento fatto al San Paolo, col Napoli, se ben ricordo, sta perdendo e Maradona è in panca.

Al rientro dei titolari in campo il San Paolo è impazzito. Qualcuno chiede: “Ma che diamine è successo?“. La risposta: “Niente di che, Diego è 15 minuti che palleggia senza far cadere il pallone in terra“.

Ciao D10S e scusami se non ti ho mai tifato. Ti ho direttamente amato.

Oh mama mama mama, Oh mama mama mama, Sai perchè mi batte il Corazon, Ho visto Maradona, Ho visto Maradona, Oh mama inamorato sono…


 

Di Francesco Fiori

Francesco Fiori è un giornalista sardo, classe 1983, con la passione per il racconto dello sport. Di tutto lo sport. Aveva 6 anni quando, sicuramente errore o destino, ebbe in regalo una semplice radio, senza pensare alle conseguenze successive del pianeta sportivo. Una domenica, finiti i compiti, giocando con quel mezzo, captò la voce roca di Sandro Ciotti. Aveva appena scoperto l’esistenza di Tutto il calcio minuto per minuto. La prima sfida arriva nella stagione calcistica 90/91, quando lo zio, incredibile giornalista locale, gli diede come compito raccontare la giornata calcistica appena conclusa. Quel tema, ad appena 7 anni, risultò migliore rispetto alle tabelline, mai entrate volentieri in testa. Il premio fu la presenza alla gara di cartello della squadra del suo paese, il Ploaghe, due settimane più tardi. Destino volle che la morte prese suo zio proprio il mercoledì prima, innescando in Fiori la voglia di diventare giornalista. A scuola alla domanda “Hai solo il calcio in testa?” rispondeva “No, anche il ciclismo” e gli anni di partite contemporanee la domenica e di Tele +2 col calcio estero crearono un piccolo “psicopatico sportivo”. Tra gli sport di cui si innamora c’è l’hockey americano, soprattutto nella mitologica figura di Mario Lemieux. Poco prima della morte del padre, nel febbraio 2001, Fiori trova su La Gazzetta dello Sport proprio un trafiletto con scritto del ritorno sul ghiaccio di Lemieux dopo aver sconfitto una forma tumorale e un ritiro di 3 anni. Da lì altra promessa, qualora arrivi la possibilità di scrivere un articolo, questo sarà su Lemieux il Magnifico. Diventato ragioniere capisce immediatamente che iva e fatture sono molto più noiose del previsto e la prima collaborazione col giornale “Sa Bovida” gli fanno capire le regole basi del giornalismo, cosa che Fiori ignorava ma che rispettava, chiedendo solo la possibilità di scrivere e far colpo. Chiusa la parentesi Sa Bovida per problemi logistici e di salute dell’immenso Antonio Delitala ecco il primo reale colpo di fulmine, il sito di hockey Nhl Playitusa che non ha un articolo su Lemieux. Il direttore, con una mail che Fiori ancora oggi custodisce, risponde: “Beh, perché non provi a scriverne uno tu?” Il resto è la storia scritta al pc dopo averne scritto 5 pagine in un quadernone a quadretti. Un cambio di lavoro, non per sua volontà, spariglia le carte in tavola, col ragazzo che stando fuori casa tutto il tempo deve abbandonare la scrittura, ma peggio ancora va col primo di 3 ictus che colpiscono la mamma proprio in quel periodo. Tempo al tempo e con un altro cambio di lavoro ecco l’opzione che lo colpisce, scrivere della sua amata Inter sul sito SpazioInter. Gli inizi sono complicati, scrivere secondo le regole e non avere carta bianca lo bloccano un pochino, fino all’esplosione che nel sito si chiama Live. Il Live sarebbe il racconto, minuto per minuto e in contemporanea, della partita in tv e a Fiori tocca esordire con Milan-Inter. Quella sera il divertimento raggiunge le stelle, anzi, le supera e da quel momento l’impegno è triplo, con le perle di interviste a Sandro Mazzola (che risate), Gigi Simoni (che gentilezza) e Riccardo Cucchi, suo idolo radiofonico. Il tesserino da giornalista gli fa mantenere la parola data a 6 anni e ancor più sorprendente è la proposta di essere addetto stampa proprio della squadra locale, andare a vedere quelle partite che il destino gli negarono nel 1991. Si chiede spesso se sia il destino a far scherzi oppure se semplicemente la vita va accettata per quella che è. Il 30 gennaio 2021, dopo un ricovero di un mese con tutte le aggravanti possibili, in ospedale viene a mancare la mamma di Francesco. Il colpo è brutale. Il conto è pesantissimo, la mente lontana, lo scrivere, anche solo un piccolo pensiero sulla giornata calcistica, è di una difficoltà che ad oggi è ancora lontana dall'essere superata. Il resto è storia o noia, dipende da che parte si vuol vedere, dagli articoli su Gazzetta Fan News al raccontare qualsiasi sport, perché per Fiori ogni sport ha un suo eroe e perché ora, con IspirazioneSportiva.com, sarà ancor più spettacolare dar libero sfogo a qualsiasi ispirazione, come dice il nome e come gli ha insegnato Riccardo Cucchi: “Nella vita mai smettere di sognare!”. Anzi, scusate il ritardo! Mail: fcroda@yahoo.it Fb: supermariolemieux pec: francesco.fiori@pecgiornalisti.it