Mi son preso un paio di giorni per scrivere qualcosa.
Sarà il momento non esaltante che ogni gennaio da anni a questa parte mi regala, ma leggere che è morto Gigi Riva mi ha lasciato perplesso.
Non triste, non indifferente. Perplesso.
Perché semplicemente GigiRRRiva non può morire. Perché trattasi di eroe mitologico tramandato da nonni, papà, ora figli che lo racconteranno alle altre generazioni e così via.
Racconteranno che nel mondo del pallone è esistito un ragazzo di poche parole che ha parlato al mondo col suo sinistro, castigando difese avversarie e portieri incolpevoli.
Racconteranno che il Dio denaro lo voleva ricoprire di soldoni per cercar gloria lontano da una terra vista dagli altri come quella di pastori e banditi. Ma vista da qui, dall’entroterra sardo, è semplicemente un paradiso.
E come tale non lo abbandoni e non puoi neanche spiegare il motivo del non abbandono.
Non è solo il mare, non è solo il cielo azzurro e quell’aria frizzante, perché se è esistito GigiRRRiva è perché Luigi da Leggiuno ha conosciuto con mano la bontà di un popolo che una volta che ti apprezza non ti lascia più.
Non è da tutti. Non è per tutti.
E ora l’unico sentimento è la solitudine ma anche l’orgoglio.
La solitudine perché abbiamo perso GigiRRRiva (così dicono, ma ripeto, è impossibile!) e l’orgoglio, perché da oggi il suo esempio dovrà esser materia di studio, dovrà essere esempio per quel prodotto italiano che chiamano calcio in una settimana ha visto una semifinale di Supercoppa con meno spettatori di una Lega Pro, insulti razzisti e un minuto di silenzio fischiato.
“Non era contemplato nella loro religione“. Beh, se è per questo non era neanche il loro campionato di calcio.
Come non era la stessa cosa con GigiRRRiva in campo.
Vai Gigi, idolo del Brera Nazionale, che tremino Diego e Pelé, che si scansi il Kaiser, che ti passi la palla Johan, perché ora lassù si gioca ad armi pari.
Sarà uno spettacolo.
E scusa gli occhi lucidi. Sarà sicuramente una goccia di pioggia dopo un Rombo di Tuono.