Si è chiusa nel weekend la leggenda di Valentino Rossi nella Motogp. Un pilota unico nel suo genere se si pensa che il suo ultimo titolo è datato 2009
Forse è ancora molto presto per metabolizzare il fatto che la prossima stagione non vedremo Valentino Rossi in pista.
Ed è meglio così.
Non è una provocazione (anche se ammetto di non esserne tifoso) ma il fatto che Valentino fosse relegato sempre vicino al carro scopa (termine ciclistico per il fine gara) era un insulto per chi ha costruito una carriera leggendaria. Insulto come le mosse della Yamaha nel venerare nell’ultimo weekend la sua icona ma che di fatto nella stagione 2021 ha fatto qualsiasi cosa per far passare a Rossi la voglia di competere in Motogp.
Insulto può essere relegare Rossi alla seconda scuderia Yamaha, la Petronas che tranquillamente sta bruciando Andrea Dovizioso e che, forse, si è offesa per la scelta di Valentino di preferire una Ducati per il suo team del 2022.
Un altro anno di Rossi in Motogp? No, a queste condizioni no. Così come per Kimi Raikkonen, altro personaggio unico nel motorsport che si diletta a portare all’arrivo l’Alfa Romeo, in una Formula Uno che Mercedes e Red Bull a parte (sfida totale) non ha proprio fascino, con buona pace di una Ferrari che esulta se va meglio della McLaren.
Lasciare al momento top sarebbe difficile per tutti. Lo disse anche Michael Jordan quando per Last Dance dei Bulls ha iniziato a chiedersi che cosa sarebbe successo proseguendo. Forse il Rossi autentico ha chiuso i battenti nel 2015, quando, a torto o ragione, dipende dal punto di vista, si è visto scippato un titolo alla portata (non vinto, alla portata, perché Lorenzo disputò una grande stagione) con il giovane leone Marquez a fargli capire che non esisteva riverenza nei confronti del Dottore.
Valentino lascia però la sua scia di simpatia, i suoi commenti contro i ragazzi dell’Accademy “Quando vedo Bagnaia e Morbidelli mi dico ma chi ca… ha avuto l’idea dell’Accademy e poi ci penso e l’idea è stata la mia” o altre risposte sempre sincere e immediate che di fatto un sorriso, tifoso o meno, lo strappano sempre.
Quando Valentino ha iniziato a vincere era il 1996, la Juve vinceva la sua ultima Champions, Bravehearth collezionava 5 Oscar, Zola ci condannava a Euro96, Michael Johnson è record su i 200 ad Atlanta con 19″32, Martina Hingis dominava giovanissima Wimbledon, con Schumacher che esordiva con la Ferrari.
Sembra un secolo fa, eppure tutto il circus della MotoGp è cambiato nell’era Rossi, dalla tv ai commentatori, passando per quei nove titoli che ad oggi ne certificano la leggenda.
Leggenda che nei motori di domenica si è certificata anche in Brasile, Formula Uno, ma Lewis Hamilton non ha lo stesso appeal di un Vale Rossi che appende “la moto” al chiodo.
Fonte: l’autore Francesco Fiori