Ven. Dic 6th, 2024

Dominik Hasek non è mai stato un tipo banale, è stato semplicemente uno dei più grandi portieri che abbia mai infuocato il ghiaccio della Nhl, la sua pazza idea di un ritorno nell’hockey americano a 47 anni è folle ma suscita anche curiosità.

Per tenersi pronto ad un clamoroso comeback Hasek ha provato il bach volley, lo sci alpino e addirittura le corse automobilistiche, il tutto per mantenere l’ardore che serve ad un atleta per rimettersi in gioco, sempre e in qualsiasi circostanza. A Detroit le porte per il portiere sono sempre aperte, ma perché? Chi è Dominik Hasek?

The Dominator

Dominik Hasek nasce a Pardubice nell’allora Cecoslovacchia il 29 gennaio 1965 e dal suo primo provino (quando a 5 anni sfida i ragazzini più grandi di lui) capisce che l’hockey sarà parte integrante della sua vita.

Nella squadra della sua città, l’Hc Pardubice, inizia a collezionare i primi successi con 2 scudetti nel 1987 e 1989 ma la difficoltà per approdare nella Nhl da un paese straniero ne rallenta l’esplosione.

È addirittura draftato una prima volta nel 1983 come scelta numero 207 dai Chicago Blackhawks ma Hasek lo scopre solo alcuni mesi più tardi sfogliando tutte le scelte Nhl e vista l’impossibilità che il regime comunista concede alla Cecoslovacchia i suoi sogni dovettero aspettare il 1990.

Il conseguente cambiamento della Cecoslovacchia fa spiccare il volo verso la Nhl nel 1990/91, ben otto anni più tardi rispetto al draft, Hasek ha pazienza e addirittura si gioca da subito una Stanley Cup contro i Pittsburgh Penguins campioni in carica. Tra i suoi allenatori incontra Vladislav Tretiak, leggenda russa che per gli stessi problemi politici non riuscì mai a giocare in Nhl che lo osserva e lo incoraggia, intravedendo potenziali margini per essere una stella con lo scoglio di un carattere altalenante per il giovane Dominik.

La scarsa fiducia che Chicago ripone in Hasek fa si che il portiere inizi come riserva di Eddie Belfour ma le sue “prodezze”in negativo con gli Indianapolis Ice (dove in una partita subì anche 9 gol) minarono il carattere orgoglioso di Dominik che depresso si chiedeva sé e quando sarebbe diventato titolare in una squadra Nhl.

Il problema più grave era lo stile, i portieri di una volta, i pionieri della Nhl, stanno sul ghiaccio in piedi come nel calcio e al massimo si limitano a porre i gambali verso l’esterno per fermare i dischi nel cosiddetto “stile farfalla”. Hasek è il contrario, si agita, si butta su ogni puck dimostrando una sontuosità nel suo ruolo unica, un raro diamante che spesso para con quello che capita, sia testa, bastone, schiena o gambe, facendo inorridire i puristi della classe degli estremi difensori.

Ha coraggio, gara 1 della Stanley Cup 1992 è un avvertimento che sul ghiaccio sta per scendere un grande problema per tutti gli attaccanti. Mike Keenan coach degli allora Hawks la pensava come tanti “non è un portiere ma un disastro” e assisteva impotente al mal di testa che la classe di Lemieux stava rifilando a Eddie Belfour nonostante un 3 a 0 iniziale facesse sperare nel colpaccio di Chicago in casa dei campioni.

Hasek studia con attenzione i movimenti di Tom Barrasso cercando di carpire i trucchi del mestiere.

La rimonta di Pittsburgh equivale al dramma di Belfour che goffamente subisce dei gol con papere clamorose e il risultato da 4 a 1 per i Blackhawks inizia a cambiare sino al 4 a 3 quando Mario Lemieux mette il disco al centro colpendo il bastone dell’estremo difensore di Chicago che non capisce molto di cosa succede ma raccoglie il puck dentro la gabbia.

Il colpo del ko per Belfour arriva con una prodezza di Jaromir Jagr che grazie ad una splendida serpentina supera 3 difensori col disco sotto le gambe di Eddie, irriso dal pubblico, costretto a subire il 4 a 4. Non contento del pasticcio Belfour non trattiene un disco di Larry Murphy a 12”dalla fine, arriva Lemieux, gol del 5 a 4 e tutti pronti al linciaggio del portiere ospite in un’arena che esplode di gioia nella prima vittoria.

La prima avventura per Hasek nella Stanley Cup finisce con l’amaro in bocca per il risultato di squadra e la certezza che può giocarsela alla pari con il suo rivale nella gabbia dei Blackhawks. Dopo 3 sconfitte è gara 4 il palcoscenico ideale per esplodere, Belfour è imbarazzante contro Jagr e Stevens subendo 2 gol nei primi tiri di Pittsburgh, Keenan prende coraggio e dopo neanche un quarto d’ora di gara chiama Dominik Hasek per la sostituzione, accolta con qualche applauso e alcune maledizioni per Eddie Belfour, da li soprannominato perdente cronico (sino al 98-99 ma questa è un’altra storia).

Il giovane Dominik sembra addirittura troppo magro per ricoprire la gabbia come farebbe un armadio, al primo tentativo Chicago è tutta in avanti per cercare il pareggio, il disco arriva a Lemieux tutto solo al centro del campo, tutti si aspettano un gol sicuro invece Hasek lo blocca proprio nella metà campo e suona la carica, è il segnale che un carattere irascibile sta per riscrivere la storia della Nhl.

Chicago risponde colpo su colpo verso i campioni, pur perdendo 6 a 5 Hasek esegue ottimi interventi ma la brutta serie che vede Mario Lemieux alzare la sua seconda Stanley Cup è anche l’addio per Dominik hai colori Blackhawks. In estate la dirigenza si disfa dei due portieri, spedisce  Hasek a Buffalo per Stephane Beauregard e prospetti futuri (arriverà poi Eric Daze). Nessuno nella città del vento lo sa ma è stato appena compiuto un gravissimo errore di mercato.

Buffalo Sabres: nasce The Dominator

A Buffalo è accolto da Mitch Korn allenatore dei portieri che è da subito colpito da uno stile poco ortodosso per il ruolo dei portieri. Senza la paura che incuteva su Keenan per il portiere l’inizio è come secondo di Grant Fuhr ma a metà stagione un infortunio al portiere titolare spalanca la strada a Dominik Hasek, ogni volta una nuova parata inventata e piano piano Buffalo scopre di avere in casa una stella di primissima qualità.

Gli allenatori avversari riconoscono l’enorme quantità di conclusioni rifilate contro la gabbia dei Sabres ma una percentuale di gol bassissima, tanto che nel 1994 arriva il primo Vezina Trophy quale miglior portiere della lega, ripetendosi l’anno successivo dove è anche finalista nell’Hart Trophy come miglior giocatore della Nhl.

Il 27 aprile 1994 incanta la Nhl contro i New Jersey Devils in una maratona che non si schioda dallo 0 a 0 e che dopo 4 supplementari viene decisa da Dave Hannan in favore dei Sabres. Il dato splendido è che l’allora giovane rookie Martin Brodeur blocca 49 tiri, Dominik Hasek invece si spinge oltre e domina ben 70 tiri!

Il suo carattere forte spesso non piace ai coach, Ted Nolan lo allena nel 1996/97 ed è un continuo conflitto, dopo una sostituzione contro Ottawa il portiere ceco va su tutte le furie. Si parla di squadra spaccata in 2 tronconi, un fotoreporter di Buffalo, Jim Kelly, intervista Hasek dopo averlo provocato più volte ricevendo dal portierone  un aggressione che costa la sospensione per 3 partite.

La faida contro Nolan prosegue con Shields che diventa titolare e con Dominator che si dà infortunato per il bene della squadra. Quando l’allenatore di Buffalo vince il premio come miglior coach Hasek si schiera al fianco del General Manager Muckler fresco di licenziamento per i continui battibecchi contro il vincitore del Jack Adams Award (miglior coach) che per tutta risposta non gradisce il prolungamento di un solo anno offerto dalla dirigenza e offeso lascia l’incarico.

I fan sbalorditi per l’accaduto prendono Hasek come causa di tutto il maremoto e lo fischiano per i primi mesi della regular season ma il supereroe risponde con i fatti, trascina la squadra da solo vincendo ancora il Vezina, il Lester B.Person (premio per il migliore secondo i giocatori Nhl) e l’Hart Trophy (Mvp della lega), i tifosi sono di nuovo dalla sua parte.

13 shutouts nella stagione 1997/98 spiegano perché Hasek bissa il trofeo come miglior giocatore ella Nhl, evento unico nella storia della National Hockey League per un portiere ma non contento trascina la Repubblica Ceca alle Olimpiadi del 1998 a Nagano.

Contro il Canada super favorito in semifinale mantiene inviolata la porta finche Trevor Linden segna il pareggio che fa andare le due squadre ai rigori. Dominator si limita a fare il suo dovere parando CINQUE penalty su CINQUE, chiudendo la porta pure alla Russia sconfitta 1 a 0 e mandando in visibilio Praga quando con l’oro al collo viene accolto come un Dio.

Dominik Hasek vale una squadra intera, l’oro olimpico è gioia a livello nazionale ma la vera gloria è mondiale e solo la Stanley Cup può regalarla.

Il 1999 è l’anno di grazia dei Buffalo Sabres, nonostante una regular season che consegna solo un terzo posto nella Northeast division nella postseason scatta l’attacco verso la cima più ambita nonostante essere la settima testa di serie della Eastern.

Spazzata via subito Ottawa, seconda forza a est, per 4 a 0 per Buffalo prende corpo l’idea di avere poteri magici, mandato a casa Yashin dei Senators, Hasek si ripete con i Bruins di Ray Bourque eliminati per 4 a 2 sino ad arrivare alla finale di conference contro Toronto dell’esordiente Kaberle e con una squadra dall’ottima fase difensiva. Per i Maple Leafs il sogno dura appena 5 gare, 4 a 1 per Buffalo e finalissima contro i Dallas Stars.

Per raccontare la serie dove Buffalo non esplode quasi mai si arriva a gara 6 con i Sabres sotto 3 a 2 nei match vinti, è la gara più lunga della storia di una finale, 3 supplementari per quasi 2 ore di hockey effettivo, verso le due di notte accade l’incredibile, Modano tira, Hasek compie una serie di miracoli ma si deve arrendere alla successiva conclusione di Brett Hull. Tutto finito?

La Stanley è decisa ma al replay si scopre che il pattino di Hull è nell’area del portiere, il gol è da annullare ma il giudice di porta non se la sente di annullare scatenando l’ira di Dominik Hasek che non le manda a dire e dichiara “forse chi ci giudica era in bagno o dormiva”. Nella stagione successiva il commissioner Bettman rifiuta che siano i replay a decidere i gol ma solo che una decisione arbitrale decida il tutto. La beffa della finalissima è che la Stanley Cup è alzata al cielo da Eddie Belfour, psycho giocatore fin li perdente che chiude la decisiva gara con 53 parate contro le 50 di Dominator.

Per Hasek è un colpo al morale drammatico, pensa anche al ritiro lasciando di stucco l’intera franchigia, poi cambia idea, nelle due successive stagioni un infortunio all’inguine ne limita la classe ma non i trofei visto che vince il sesto Vezina Trophy.

L’ennesima maratona beffa contro i Penguins nei playoff 2000/01 con il gol di Kasparaitis dopo il primo supplementare di gara 7 consegna ai Sabres 69 parate di Hasek ma il portiere sa già che con quella casacca i miracoli sono impossibili, iniziando a guardarsi intorno sul cambio di team.

Finalmente Stanley Cup

Il matrimonio ideale si consuma con i Detroit Red Wings, ottima squadra con l’unico punto debole in porta. La regular season è ottima chiusa col miglior record stagionale. È una squadra di vecchietti terribili, a cominciare da quel Brett Hull incubo della prima finalissima di Hasek, passando poi per Sergei FedorovChris CheliosBrendan ShanahanIgor Larionov e Luc Robitaille, il tutto coadiuvato dal leggendario Scotty Bowman che a 68 anni colleziona la sua nona coppa da allenatore.

Dominik Hasek stoppa tutti gli attacchi che nella finalissima arrivano dai Carolina Hurricanes nonostante la sconfitta in gara 1 per 3 a 2 sia una sorpresa. Lidstrom e Draper raddrizzano gara 2 vinta per 3 a 1, Hasek ferma 41 tiri nella terza gara e la doppietta di Larionov con gol anche di Hull segnano il sorpasso nel 3 a 2. Il Dominator deve mettere il sigillo a modo suo nella serie, gara 4 la chiude con lo shutout nel 3 a 0 firmato Hull, Larionov e Shanahan.

Il trionfo arriva in un’arena tutta dipinta di rosso  che esulta per i gol di Holmstrom e la doppietta di Brendan Shanahan, sulla sirena l’abbraccio di tutti va sull’irascibile guerriero Dominik Hasek che diventa il primo portiere europeo a sollevare da titolare la magica Stanley Cup.

Con la coppa alzata al cielo Hasek dichiara il suo primo ritiro dalla Nhl.

I Red Wings ritornano ad avere il punto debole del portiere e nella stagione post-Hasek sono subito eliminati da Anaheim. In casa Hasek squilla il telefono, “Torni? O sostituisci Roy agli Avalanche?

Per Dominik la scelta è semplice, si rientra con le ali rosse ma è ancora l’inguine a fermarlo dopo appena 14 partite e a causa dell’infortunio salta la restante parte della stagione.

Riprendere dal brutto stop è più difficile del previsto, Hasek sorprende ancora una volta rinunciando ai soldi che il suo prelibato contratto gli consegna dicendo che si sarebbe allenato gratis fino al suo ritorno. Il successivo lock out che colpisce la Nhl scombina tutti i piani.

L’approdo nei Senators

Hasek firma da free agent con gli Ottawa Senators intravedendo le potenzialità per la Stanley Cup ma la cancellazione dell’intera stagione 2004/05 fa saltare l’esordio con i Senators, cosa che si concretizza nel 2006 nell’anno delle Olimpiadi invernali di Torino.

Che la spedizione olimpica per il portierone nasca male si capisce quando gli dimenticano l’intera attrezzatura sportiva a Ottawa causando l’assenza negli allenamenti della Repubblica Ceca. Va molto peggio nelle qualificazioni contro la Germania quando ad abbandonarlo è il suo muscolo adduttore che lesionato durante un salvataggio mette la parola fine al torneo olimpico che regalerà la medaglia di bronzo per la squadra priva di Hasek.

L’infortunio fa saltare il resto della stagione compresi i playoff e dopo 43 partite e i propositi di riduzione d’ingaggio la dirigenza dei Senators non rinnova il contratto a Dominator.

Red Wings atto II°

A 41 anni nessuno lo convince al ritiro, anzi ritorna a indossare la maglia dei Red Wings conducendoli al primo posto di conference dove per Hasek arrivano 38 vittorie e 2,05 gol subiti di media.

Non gioca le partite che si disputano consecutivamente cosi da salvaguardare l’integrità fisica ma la prima avventura si chiude mestamente con una nuova sconfitta alle porte della finalissima contro gli Anaheim Ducks futuri campioni, con la beffa di non poter sfidare poi per la Stanley Cup quegli Ottawa Senators giunti alla finalissima poi persa.

Per Hasek sembra la fine invece rifirma un contratto da free agent con Detroit, questa volta partendo come sostituto del titolare Chris Osgood.

La stagione è esaltante e nonostante il declassamento Hasek si fa trovare pronto ogni qualvolta venga chiamato in causa. I Red Wings arrivano in finale contro i giovani agguerriti Pittsburgh Penguins di Sidney Crosby ed Evgeni Malkin. L’esperienza dei Red Wings però permette a Zetterberg e Datsyuk di superare i Penguini regalando in 6 gare la seconda Stanley Cup a The Dominator.

Dopo sedici stagioni di grandi successi Hasek annuncia il secondo ritiro dopo che solleva la Stanley Cup, con il suo invidiabile palmares di 6 Vezina Trophy2 Hart Trophy, presente nei record di vittorie per un portiere e di percentuale di parate effettuate, avesse cominciato prima, dicono molti, i record di longevità di Roy o di Brodeur sarebbero i suoi.

Pensionamento? No grazie.

La follia di Hasek è incredibile, senza hockey si sente vuoto e una stagione dopo il ritiro firma per l’Hc Moeller Pardubice, sua prima squadra e naturalmente arriva lo scudetto trascinata da parate, shutout e una serie di 12 vittorie consecutive nei playoff. L’anno successivo va addirittura nella gloriosa squadra dello Spartak Mosca nella Khl ma gioca solo 4 partite. L’esser grandi contro piccole potenze non è nello stile di Hasek che smette cosi di giocare.

Una cosa è certa, se un giocatore viene nominato “il Gretzky dei portieri” può essere capace di tutto, in fondo lui è Dominik Hasek, semplicemente “The Dominator!.       

Fonte: https://www.playitusa.com/nhl/2011/11/14626/dominik-hasek-terminator-on-ice/

Foto: Getty Images

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Di Francesco Fiori

Francesco Fiori è un giornalista sardo, classe 1983, con la passione per il racconto dello sport. Di tutto lo sport. Aveva 6 anni quando, sicuramente errore o destino, ebbe in regalo una semplice radio, senza pensare alle conseguenze successive del pianeta sportivo. Una domenica, finiti i compiti, giocando con quel mezzo, captò la voce roca di Sandro Ciotti. Aveva appena scoperto l’esistenza di Tutto il calcio minuto per minuto. La prima sfida arriva nella stagione calcistica 90/91, quando lo zio, incredibile giornalista locale, gli diede come compito raccontare la giornata calcistica appena conclusa. Quel tema, ad appena 7 anni, risultò migliore rispetto alle tabelline, mai entrate volentieri in testa. Il premio fu la presenza alla gara di cartello della squadra del suo paese, il Ploaghe, due settimane più tardi. Destino volle che la morte prese suo zio proprio il mercoledì prima, innescando in Fiori la voglia di diventare giornalista. A scuola alla domanda “Hai solo il calcio in testa?” rispondeva “No, anche il ciclismo” e gli anni di partite contemporanee la domenica e di Tele +2 col calcio estero crearono un piccolo “psicopatico sportivo”. Tra gli sport di cui si innamora c’è l’hockey americano, soprattutto nella mitologica figura di Mario Lemieux. Poco prima della morte del padre, nel febbraio 2001, Fiori trova su La Gazzetta dello Sport proprio un trafiletto con scritto del ritorno sul ghiaccio di Lemieux dopo aver sconfitto una forma tumorale e un ritiro di 3 anni. Da lì altra promessa, qualora arrivi la possibilità di scrivere un articolo, questo sarà su Lemieux il Magnifico. Diventato ragioniere capisce immediatamente che iva e fatture sono molto più noiose del previsto e la prima collaborazione col giornale “Sa Bovida” gli fanno capire le regole basi del giornalismo, cosa che Fiori ignorava ma che rispettava, chiedendo solo la possibilità di scrivere e far colpo. Chiusa la parentesi Sa Bovida per problemi logistici e di salute dell’immenso Antonio Delitala ecco il primo reale colpo di fulmine, il sito di hockey Nhl Playitusa che non ha un articolo su Lemieux. Il direttore, con una mail che Fiori ancora oggi custodisce, risponde: “Beh, perché non provi a scriverne uno tu?” Il resto è la storia scritta al pc dopo averne scritto 5 pagine in un quadernone a quadretti. Un cambio di lavoro, non per sua volontà, spariglia le carte in tavola, col ragazzo che stando fuori casa tutto il tempo deve abbandonare la scrittura, ma peggio ancora va col primo di 3 ictus che colpiscono la mamma proprio in quel periodo. Tempo al tempo e con un altro cambio di lavoro ecco l’opzione che lo colpisce, scrivere della sua amata Inter sul sito SpazioInter. Gli inizi sono complicati, scrivere secondo le regole e non avere carta bianca lo bloccano un pochino, fino all’esplosione che nel sito si chiama Live. Il Live sarebbe il racconto, minuto per minuto e in contemporanea, della partita in tv e a Fiori tocca esordire con Milan-Inter. Quella sera il divertimento raggiunge le stelle, anzi, le supera e da quel momento l’impegno è triplo, con le perle di interviste a Sandro Mazzola (che risate), Gigi Simoni (che gentilezza) e Riccardo Cucchi, suo idolo radiofonico. Il tesserino da giornalista gli fa mantenere la parola data a 6 anni e ancor più sorprendente è la proposta di essere addetto stampa proprio della squadra locale, andare a vedere quelle partite che il destino gli negarono nel 1991. Si chiede spesso se sia il destino a far scherzi oppure se semplicemente la vita va accettata per quella che è. Il 30 gennaio 2021, dopo un ricovero di un mese con tutte le aggravanti possibili, in ospedale viene a mancare la mamma di Francesco. Il colpo è brutale. Il conto è pesantissimo, la mente lontana, lo scrivere, anche solo un piccolo pensiero sulla giornata calcistica, è di una difficoltà che ad oggi è ancora lontana dall'essere superata. Il resto è storia o noia, dipende da che parte si vuol vedere, dagli articoli su Gazzetta Fan News al raccontare qualsiasi sport, perché per Fiori ogni sport ha un suo eroe e perché ora, con IspirazioneSportiva.com, sarà ancor più spettacolare dar libero sfogo a qualsiasi ispirazione, come dice il nome e come gli ha insegnato Riccardo Cucchi: “Nella vita mai smettere di sognare!”. Anzi, scusate il ritardo! Mail: fcroda@yahoo.it Fb: supermariolemieux pec: francesco.fiori@pecgiornalisti.it