Imola, ore 14:17, Ayrton Senna affronta l’ultima curva della sua vita. Vallo a spiegare al bimbo che lo venera. Nel 2020 la Formula Uno ritorna proprio a Imola.
La storia per quanto complicata che sia, racconta l’amore spasmodico di un bambino, Francesco, per il suo mito Ayrton Senna.
Per arrivare a Senna bisogna riavvolgere il nastro di un paio d’anni, quando cioè al bimbo regalarono una macchina di Formula Uno, la Ferrari di Berger, facendo conoscere uno sport strano, fin lì sconosciuto a chi cresce solo a pane e calcio, e soprattutto la curiosità di vedere quelle macchine così bizzarre.
Nell’attesa di capire chi fosse Berger in tv il bambino faceva notare che per un giro della Rossa un’altra macchina passa già più volte. Perché?
“Eh, ma quello è Senna!“.
L’esclamazione, scontata “per i grandi”, quel bimbo mica poteva capirla. Cosa significava “Quello è Senna“, cos’è? Un modo di dire?
“No – spiegarono al bimbo – Quella macchina che a te sembra ancora più strana della Rossa è guidata da un pilota di nome Ayrton Senna, è il pilota più forte di tutti in questo momento“.
La reazione del bimbo fu istintiva, dicendo: “Scusate, ma allora perché diamine mi avete regalato questa macchinetta, io voglio quella di Senna, io voglio quella col casco giallo“.
La vita, per quanto complicata e senza logica possa sembrare, ha sempre un perché e da quel momento, da quell’istante, il bimbo ha occhi solo per Senna, tanto da disegnarlo a scuola, in mezzo a chi disegnava il sole o il mare lui metteva in mezzo sempre la McLaren bianca e rossa.
Segni del destino.
Maggio 1994, le rose nel cortile sono già profumate e il bimbo che ormai dello sport fa malattia quotidiana, sa che a breve inizierà il Giro d’Italia, unendo le bici all’atmosfera che pare romantica.
Prima però c’è da far qualche miracolo per vedere il gran premio di San Marino. Colpa, o merito, di un occhio pigro che viene sollecitato tamponando quello sano, con conseguenza che da lontano non ci si vede una beata mazza.
Nel frattempo che la domenica faccia il suo decorso post pranzo ecco la rituale partita col Game Gear, con Kick Off per l’esattenza, dove si gioca a calcio e il bimbo s’inventa 13 partite di tutti i campionati nazionali, così da scriverli poi nell’agendina e raccontare poi una virtuale schedina la sera.
Cose normali mai eh.
La fortuna di passare il tempo ai videogames durante il gran premio, fu di non assistere in diretta allo schianto del Tamburello, quel bambino ancora non concepiva la morte nello sport e a stento capiva che fosse successo il giorno prima col povero Roland Ratzenberger.
Successe tutto in un istante, nella stessa agendina del bimbo, ormai undicenne, c’erano tutte le piste ritagliate e catalogate, c’era il posto per i primi tre, tutto creato pochi mesi prima, quando dopo l’annuncio di Senna alla Williams, gli aveva fatto fare i salti di gioia, con calcio al povero ferro da stiro che lì era accanto e che mai più avrebbe funzionato.
Colpa del brasiliano.
In quell’incidente, visto con difficoltà da lontano e grazie all’occhio pigro, il bambino non riesce a capire molto, c’è un immagine di un meccanico Williams che sta seduto, disperato, ma che viene scambiato per Senna.
“Non si è fatto niente, meno male, ma cavolo ora toccherà vincere a Montecarlo” il ragionamento del piccolo tifoso, ma poi elicotteri in pista, dottori, ma che diamine sta succedendo?
E in quel momento un corpo disteso per terra, ha la tuta blu e quando lo sollevano per portarlo sull’elicottero un enorme macchia rossa riga la sabbia del circuito. In quel momento il bambino sente un freddo glaciale nonostante maggio, quel sangue non poteva essere suo, quel corpo non poteva essere il suo Ayrton Senna.
Poltronieri, l’allora telecronista, disse le parole che mai furono dimenticate: “Le condizioni di Senna sono estremamente gravi“.
Cosa diavolo vuol dire la parola estremamente? La disperata corsa del bambino fu verso la mamma che, spaventata per cosa potesse essere successo al figlio, fu quasi di anticipo verso una mandata a quel paese, perché in teoria i compiti erano ancora da svolgere ma chiedere cosa volesse dire “estremamente” la faceva da padrone su tutto.
“Significa molto grave, gravissimo“. No, Senna gravissimo non può diventarlo, così via di domande, dubbi, assilli, anche al padre, col povero papà che smadonnava per avere un erede che aveva la testa solo nello sport.
“Guardati l’Inter dai – disse – non pensare a Senna“, con netta risposta molto negativa verso un’annata, quella 93/94, abbastanza tragicomica dei nerazzurri. “L’Inter guardatela tu, rimetti il gran premio in tv“, perché “i grandi” avevano già capito che Senna sarebbe morto, ma il bambino no. Guai a togliergli il suo mito.
Passarono i minuti, le parole encefalogramma piatto e altre stramberie mediche, uno di 11 anni non poteva capire, ma purtroppo, lo zio giornalista, colui che gli risolveva i dilemmi sportivi e che ne amplificava la curiosità sportiva, era mancato 3 anni prima e al ragazzo non restava che aspettare e immaginare il suo Senna pronto a parlare e dichiarare guerra a Schumacher.
L’estremo tentativo, ebbene si, di un miracolo, fu andare al rosario che si sarebbe recitato nella chiesa poco distante alle ore 18 e chi se ne frega se anziché alla Madonna le mani giunte erano perennemente rivolte al suo Senna.
Si uscì dalla chiesa con la convinzione che ora, accendendo la tv, Senna sarebbe stato in piena forma, d’altrone il prossimo gran premio sarebbe stato a Montecarlo, terra di trionfi brasiliani.
“Senna è morto“, gli disse la mamma sulla porta di casa, quasi aspettando il bambino che sorrideva, ma quelle parole, così dirette, lo riportarono a tre anni prima, quando la parola morte era entrata di prepotenza nella sua vita.
E’ difficile dire che un mito è morto, è complicato spiegare il cerchio della vita, che la morte fa parte della vita, è la parte finale, è l’ultimo capitolo che quando arriva, arriva.
Ma per Senna no. Non poteva esistere morte.
Pochi giorni più tardi, dopo tutti i programmi su Ayrton furono vivisezionati dal bambino, accadde un fatto poi ricordato dalla compagnetta di classe tra le risate, e che cioè in vista di una visita alla sede giornalistica de La Nuova Sardegna, a tutti gli alunni fu richiesto l’acquisto di un quotidiano, senza però specificare quale.
Inutile dire che, mentre tutti si lanciavano sul quotidiano sardo, il bambino, tifoso di Senna, si premurava di avere il Corriere dello Sport, perché c’era Ayrton in prima pagina.
Fu un disastro.
Già, perché il bambino (il motivo oggi ancora mi sfugge), sedeva nel banco accanto alla maestra, ma che questa, spiegando in maniera perfetta come è strutturato un quotidiano, di botto rendeva il piccolo (anche nettamente per altezza) il primo bersaglio delle domande.
Non ci voleva un genio per capire che quel bambino era in un pianeta a sé, e alla domanda: “Cosa ho appena detto?” la conseguente risposta: “Non ne ho idea sto leggendo di Senna“, fu la bomba che fece strappare in due il quotidiano, perché mentre la maestra lo tirava a sé la mano ferma non voleva mollare le pagine del suo mito.
Altro che l’ambito Benissimo che la maestra come voto metteva con la B maiuscola.
Ayrton, da lassù, avrà sorriso, avrà promesso al Signore che anni dopo avrebbe fatto un regalo a chi, con così tanta insistenza lo venerava.
Anni dopo, perché quel bambino rivide il gran premio di Imola solo 20 anni dopo, riprovando lo stesso dolore allo stomaco, arrivò la scintilla del voler scrivere un articolo sul brasiliano e poi un altro ancora e poi ancora…ancora…fino al sogno.
Il sogno di una notte di marzo in cui il brasiliano apparve al bambino, ormai diventato grande (d’età, non di testa) chiedendo un’intervista.
Si, perché il ragazzo aveva poco da vantarsi, ma timidamente gli disse, “Sai, ora sono un giornalista” e il brasiliano: “Bene, allora crea un sito, perché di cose da raccontarti ne avrò tante“.
Quel bambino è chi ha appena scritto questo pezzo, quel sogno aveva appena fatto nascere ispirazionesportiva.com e oggi che Imola ripropone le frasi di Senna ad Ayrton posso solo dirgli: “Grazie!”.
Con buona pace dei quotidiani strappati da una super maestra.
Francesco Fiori
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