Lo spavento del malore del danese Eriksen ci riporta alla mente le tante paure vissute in passato
“Dai Joakim, passamela“, ma quel maledetto pallone non gli viene restituito, il black out, il vuoto, l’aria che diventa più leggera in un silenzio tombale.
Sono arrivato in ritardo a vedere la Danimarca, anzi, mi ero proprio dimenticato che giocava la squadra di quello lì, di quel giocatore che dopo anni di poca fantasia aveva fatto riaccendere uno strano sentimento in una squadra nerazzurra.
Da sempre un bimbo è affascinato da chi porta il 10 sulla maglia, parte da Matthaus, passa per Baggio e arriva a Sneijder, poi il vuoto.
A pensarci bene il nerazzurro del dopo Triplete è un ricordo sbiadito tra minime illusioni e tante brutte figure. Quel 10 oggi è in buone mani, è di Lautaro, ottimo giocatore, ma che non ispira la fantasia del classico 10.
Attenzione, guai a chi mi tocca Lautaro sia chiaro.
Però poi c’è quello lì.
Quello con la faccia perennemente addormentata.
“L’abbiamo soffiato alla Juve che ha preso Kulusevski lo abbiamo soffiato a mezza Europa che lo voleva“. Poi lo vedi nelle immagini con lo sfondo della Scala di Milano, bello elegante, ma pur sempre con un’espressione poco decisa.
E ti diventa simpatico, simpaticissimo.
Poi, si scontra con l’ostracismo dei mister contro i fantasisti. E qua ritorna alla mente quell’altro numero 10 dell’Inter che aveva il codino ed un allenatore proveniente dalla Juve.
Molti ad inizio anno rimproverano che l’Inter abbia perso lo scudetto 2019/20 proprio per attendere troppo l’adattamento di questo giocatore al gioco di Conte.
E non ha il numero 10. Passa dal 23 al numero 24, perché dice: “Nella mia carriera è uno step in più”. A pensarlo oggi ha lo stesso numero di un certo Kobe Bryant.
Quando inizia questo campionato di spazio per quel giocatore non ne esiste ma chi aspetta una polemica o un cazzotto all’allenatore resta deluso. Se c’è da entrare a 8 minuti dalla fine non ci sono problemi, si entra e si prendono le conseguenze di non poter incidere in così poco tempo.
Ma la vita è fatta di attimi, di lampi e di occasioni. Quel giocatore si prende tutto l’affetto dei tifosi perché è umiliante entrare nei minuti finali di un match, quando magari la partita è una melina in attesa del fischio arbitrale.
Eppure quello lì al Tottenham è tra i migliori nel suo ruolo. Possibile che sia un nuovo Dennis Bergkamp all’Inter. Diamine, Bergkamp, altro amore da parte del tifoso.
26 gennaio, Milan contro Inter di coppa. Nel freddo della Coppa Italia Lukaku e Ibra decidono un testa a testa che scalda l’ambiente.
Poi, al solito, ecco che Conte si ricorda di quello lì, è il minuto 88, male che va ha a disposizione il supplementare, poi fuori dalle balle nella sessione finale di mercato.
Ma il Dio Pallone decide diversamente. Punizione al minuto 90+7. “Ma vuoi vedere che… ” E quando quel giocatore accarezza la palla che supera la barriera io esulto già con un “Eccolooooo!”
Il mio primo boato stagionale, per quel gol di quello lì, ignaro che la vita 3 giorni più tardi mi avrebbe tolto una delle cose più importanti, cioè chi mi ha dato la vita stessa.
E per questo, che tra le lacrime di un lutto se devo pensare a qualcosa di bello penso a quella punizione, a quel giocatore, alla faccia di Conte che questa volta sa che ha vinto la fantasia sulla tattica.
Ed è per quel giocatore che mi si gela il sangue alla notizia. La stessa sensazione del 1 maggio 94 con Senna in tv. E siccome la partita non la seguivo era colpa mia chiedere informazioni a chi capitava al bar dove mi ero appollaiato.
“E’ morto” – “Oppure è vivo, ma gli stanno facendo il massaggio cardiaco“, il primo personaggio che spiega come mai Danimarca-Finlandia sia sospesa.
“Vabbé – dico io in un’amarissima ma sincera battuta – a me basta che non sia Eriksen“, col dubbio se prima del cognome io abbia detto il mio Eriksen”.
E dire che il giorno prima la sua figurina era in omaggio col Topolino (Ho pur sempre i neuroni di un bimbo) e ora mi faceva da segnalibro nelle pagine finali di un romanzo di Formula Uno.
Poi, pian piano la curiosità di capire cosa succeda e il coro dei tifosi: “Christian… Eriksen”. Dio mio non può esser lui.
Cosa succeda subito dopo è storia. La stima nei confronti di Kjaer diventa immensa, per come agisce da capitano, per come guarda l’amico da più di 12 anni ora in fin di vita, anzi, morto come riporta il medico sociale, poi di nuovo tra noi, perché forse Eriksen ci prende gusto con quella faccia un po’ così a prenderci per i fondelli.
Il silenzio dentro il Parken, con 15.900 spettatori, diventa applauso, poi, il sospiro di sollievo con le prime foto di un Christian in barella e ancora tra noi.
Ma ancor prima di pensare che qualcuno dall’alto lo abbia respinto sulla terra, magari qualcuno che veglia su i numeri 10 e che in terra veniva chiamato “El Diez“, o Diego Armando, è giusto fare i tantissimi complimenti ed elogi per i passi avanti della medicina nello sport, perché la tragedia di Pier Mario Morosini è ancora nella mente di tutti.
E ora Christian, anzi, il mio Eriksen, non farci più preoccupare. Tra vita e sport so che il cuore sceglierà una cosa e la testa un’altra, tra una corsa ad un pallone e costruire Lego col tuo bimbo Alfred, in ogni caso la cosa più bella del mondo è aver ancora tra noi la tua faccia… un po’ così!
Forza Danimarca.