Titolo: I Signori del Doping, il sistema sportivo corrotto contro Alex Schwazer
Autore: Alessandro Donati
Casa editrice: Rizzoli
Anno di pubblicazione: 2021
Può un oro alle Olimpiadi distruggere una persona oltre che un’atleta? Sì, nel caso di Alex Schwazer, oro nella marcia ad appena 23 anni alle Olimpiadi di Pechino, nel 2008.
Scrive Alessandro Donati nel suo libro I Signori del Doping: il più clamoroso scandalo sportivo degli ultimi anni raccontato con rigore e passione. Un documento unico per capire il nostro tempo e le sue spietate storture.
Attilio Bolzoni: “Un incontro fra due emarginati, il campione caduto nel fango con il desiderio di riprendersi il suo onore e il grande allenatore isolato dal potere sportivo per le sue violente denunce. Il branco come avrebbe mai potuto tollerare questo legame dagli imprevedibili effetti? E come avrebbe mai potuto perdere quest’occasione? Farli fuori tutti e due in un colpo solo: con una provetta“.
Andiamo con ordine:
Come apprezzato nella rubrica Inside, doping, davvero vincono sempre i migliori? dove si può ammirare un Luciano Moggi, radiato dal mondo del calcio e ricordato da molti per la retrocessione con la Juventus, sorridente e pronto a prendere in giro Zeman e la “goliardata di Cannavaro nel ’99” ma anche il caso Schwazer, un dubbio dell’accanimento che arriva anche dopo aver letto il libro di Donati.
“Si è colpevoli finché non si dimostra l’innocenza“. Questo accade nel mondo sportivo, come ad esempio Iannone, squalificato per doping quando il doping nella MotoGp lo hai solo per quanto gas ti senti di dare, colpito dalla Wada ormai screditata.
Subito dopo l’oro di Schwazer ecco dilagare il doping di stato in Russia, tra il 2011 e 2015. La marcia, la sua specialità preferita perché è una corsa più lunga, per Alex diventa tormento. Le pubblicità e le attenzioni spasmodiche ricevute lo mandano in tilt. Quando rientra in gara vede colleghi che bastonava tranquillamente andare a tripla velocità. Gli stessi atleti russi gli confidano cosa sta succedendo. E lui esce di testa e decide, di sua spontanea volontà e da solo, di procurarsi il doping per disperazione: “O smetto o vado a Londra da dopato come loro“.
Il 1 febbraio 2012 si inietta la prima dose di Epo ed un mese prima delle Olimpiadi di Londra va in Germania per proseguire il trattamento. Il primo che nota questi spostamenti, ricordiamo il passaporto biologico per ogni atleta, e che vede la cosa come anomala è proprio Alessandro Donati.
Nel luglio 2012 Schwazer viene trovato positivo: “E’ un sollievo per me” dirà piangendo in conferenza stampa.
Schwazer molla tutto per poi rivoler ciò che aveva vinto in maniera pulita. E compie un gesto clamoroso, si affida (non senza molteplici titubanze) proprio a Sandro Donati per ritornare in pista.
A quel punto succede l’incredibile. Il libro, per chi era contro Alex, subisce un contraccolpo.
I maligni parlano di “operazione di marketing“. Donati chiede a Schwazer di dir tutta la verità, lo viviseziona con mestiere. Poi accetta una missione che sa di impossibile. In un anno e 3 mesi di allenamento arrivano qualcosa come 42 controlli antidoping, oltre quelli prestabiliti dallo staff di Donati e che sono a carico economico dell’atleta.
Schwazer si sposta a Roma e pian piano guadagna la fiducia di tutto il quartiere dove si allena, mostrando una dedizione al sacrificio fuori dal comune. Donati lavora sulla testa, ricostruisce il ragazzo da zero e dal nulla l’ex dopato e il rompiballe del doping costruiscono un capolavoro. Schwazer va più forte anche rispetto a quando prendeva l’Epo, è più tecnico e conscio di una forza mai immaginata.
Il libro ora richiede un lieto fine.
Non arriverà.
Al mondiale di marcia a Roma dove si ripresenta Alex, Donati riceve una telefonata alle 6.30 del mattino dove un giudice di gara lo implora di far vincere il campione olimpico Tallent. La regia su quell’evento non inquadra mai Schwazer e la telecronaca è un continuo dar luogo alle insinuazioni. Schwazer vince, domina Tallent rifilandogli 3 minuti, senza neanche dare il 100%. Sembra il capolavoro di una coppia che può sognare a Rio. Ma qualcosa prima è già successa.
A fine 2015, Schwazer viene sentito a Bolzano dove fa i nomi di chi aiuta il doping e il 1 gennaio 2016 (per il buon anno evidentemente) viene svegliato dai controllori antidoping e le sue urine risultano negative. Ma vengono conservate, finché un secondo controllo non troverà del testosterone che poco ci azzecca con la marcia, ma che tanto basta per fermarlo per 8 anni.
La provetta, che dovrebbe risultare anonima, ha invece l’indicazione del paesino di 4.000 anime dove vive Schwazer, Racines, e già questo dovrebbe insospettire. Poi, la Russia si vendica contro la Wada hackerando mail e spoilerando discussioni su tra i vertici delle federazioni nel “complotto A.S.”, per liberarsi di due personaggi in un colpo solo.
Al colonnello che richiede l’analisi della provetta B, quella positiva, gli vien quasi consegnata una provetta non sigillata e… giusto per mandarlo via dal laboratorio di Colonia, una pacca sulle spalle per chiudere tutto. E’ solo la caparbietà di quest’ultimo signore della legge a far si che la provetta arrivi in Italia e che mostri una manomissione in quanto la quantità di dna trovata risulta elevatissima, una cosa non comune.
Ma ormai per la Wada e la Iaaf Schwazer è colpevole. Il sogno non deve neanche iniziare. Massacrato peggio di un Lance Armstrong qualsiasi. Umiliato, a sue spese, nonostante tutta la buona volontà di collaborare.
La sua testa aveva dimostrato di far cose clamorose senza doping. Gli hanno impedito la seconda chance e questo, a parer nostro, non è giusto. Perché chi sbaglia, ammette l’errore, paga e decide di lottare a tutti i costi, merita una seconda opportunità. Altrimenti lo sport non avrebbe senso di esistere.
Per il tribunale di Losanna Schwazer non ha diritto a una sospensione della squalifica di 8 anni per doping.
Rinuncerà così alla possibilità di provare a qualificarsi per la 20 km olimpica prevista per il 1 agosto, a 39 anni.
Assolto dal tribunale di Bolzano per alto grado di probabilità di manipolazione delle provette ma colpevole secondo la giustizia sportiva.