Titolo: Quarant’anni di parole
Autore: Sandro Ciotti
Casa editrice: Rizzoli
Editore: Saggi Italiani
Anno pubblicazione: 1 luglio 1997
E’ il libro cult della biblioteca di Ispirazione Sportiva. Lo è perché lo abbiamo inseguito a lungo, trattato con cura e coccolandolo nella lettura, assaporando ogni parola e sognando col profumo delle pagine.
E’ il libro scritto da Sandro Ciotti dove lui stesso si racconta in “Quarant’anni di parole”, datato 1997.
Per i pochi che non sanno cosa è stato Sandro Ciotti, classe 1928, “The Voice“, bastano le quasi 4.000 dirette radio, ma come scrive lui: “Le parole dette in un microfono sono scritte sull’acqua“.
Il giovane Ciotti frequenta la quarta e quinta classe al Marcantonio Colonna, dove come compagno trova Franco Sensi, futuro presidente della Roma che porta allo scudetto. Tra giallorossi e biancocelesti preferisce questi ultimi, ma solo per una questione cromatica, ammettendo di non fare il tifo per nessuna squadra e anzi trovandosi in disagio con l’enorme folla che si riversa negli stadi.
Il biancazzurro gli pare più elegante ma il padre non contempla la passione per il troppo plebeo calcio e lo indirizza verso l’amato canottaggio unito allo studio del violino. E’ proprio il violino a creare l’escamotage per continuare col calcio e con la Lazio giovanile. Sandro mette gli scarpini all’interno della custodia dello strumento musicale e per un po’ di tempo gli va bene, salvo poi dover una spiegazione alla madre sul come mai fosse cosi sporco l’astuccio che doveva contenere il violino. La pacchia era finita. Lo stadio lo ammirava così:“Beethoven gioca anche bene.
La Lazio regalava i biglietti per la prima squadra ma Ciotti a sua volta li donava agli amici e se ne andava a ballare o a suonare, perché lui il calcio lo voleva giocare, non guardare. E ironia della sorte finirà per guardarlo e raccontarlo.
Quando ha 16 anni una tragedia gli segna il carattere. Tra le sue braccia muore il padre, colpito dal morbo di Weil, causato dalle nuotate nelle acque del fiume. La carriera calcistica, tra Forlì e Anconitana, non andrà oltre e nel 1954 diventa giornalista pubblicista grazie allo scriver con estrema facilità di musica a Voce Repubblicana.
Enrico Ameri e Paolo Valenti gli propongono una collaborazione con Giornale d’Italia, in una rubrica che si chiamava K.O., incontri e scontri della settimana sportiva, un programma dal taglio satirico e umoristico che vedeva anche chiusure del tipo: “Stessa ora, stesso programma, come sa anche la mamma“. Fu un successone che aumentò anche le collaborazioni richieste a Ciotti.
Tante collaborazioni significavano anche tanti soldi, cosa che allarmò i vertici Rai in vista di un possibile contratto.
Entra così a far parte della mitica redazione di radiocronache fondata da Vittorio Veltroni, con i consigli del maestro Sergio Zavoli e la musica come prima passione, tanto da seguire Festival di Sanremo bistrattati col vantaggio di capire la musica e aver conoscenze ovunque.
Il primo Festival che porta la firma di Sandro è datato 1957 dove vinse Claudio Villa. Dalla, Paoli, Tenco (tra i primi Ciotti a dar la triste notizia del suicidio e smentire categoricamente il gesto), Endrigo e Celentano i suoi preferiti, poi Mina, Fred Buscaglione, finché Ciotti è anche cantautore con Fo e Jannacci in Veronica. Alla fine saranno quarant’anni di Sanremo.
Musica e film, con la rubrica Ciak insieme a Lello Bersani, dove per Ciotti la classifica di gradimento degli interpreti recita la nomination di Proietti, Sordi, Gassman, Serrault, Noiret, Rampling, Vitti, Redgrave, De Niro e Newman.
Il vero asso nella manica della classe di Sandro Ciotti è però lo sport. L’esordio arriva per le Olimpiadi di Roma nel 1960 quando la Rai non ha i mezzi attuali come numero di inviati sul campo e capita anche che Ciotti, che passa dinanzi alla postazione di Zavoli dopo due notti in bianco, venga spedito di colpo a raccontare India-Pakistan di hockey su prato, sport che studia nel taxi e che appena ha a disposizione i nomi delle due squadre vede che esse si distinguono in Singh e Abdullah, facendo così pervenire Singh I, Singh II e così via, narrando comunque una fetta di storia poiché il Pakistan per la prima volta sconfisse l’egemonia dell’India.
Ciotti e le radiocronache furono storia e poesia.
“Gentili ascoltatori, eccovi collegati con lo stadio di San Siro da dove Sandro Ciotti vi augura buon pomeriggio e buon ascolto. La giornata è di sole, il terreno perfettamente agibile, la ventilazione inapprezzabile, gli spalti gremiti ai limiti della capienza“. Per Ciotti, da buon calciatore, conoscer la materia da raccontare, saper leggere le partite e gli atteggiamenti dei 22 in campo fu cosa semplice. Cosi venne spedito immediatamente a raccontare Danimarca-Argentina senza nessun appunto.
“Oggi mancano le personalità di spicco. Ai miei tempi tra giornalisti ci si scannava in maniera dura e si andava a cena insieme la sera stessa. C’erano determinate firme, Ghirelli, Brera, Zanetti ad esempio, che da sole valevano l’acquisto del giornale e anche quando dicevano cose sbagliate le dicevano talmente bene da ricever applausi. Ora son tutti prudenti e diplomatici“.
Nel dopoguerra, racconta Ciotti, il calcio fu consacrato come elemento basilare della quotidianità mentre prima invece si pensava fosse fenomeno di breve durata. Lo stesso Carosio non fu mai assunto in radio perché nessuno se la sentiva di far un contratto ad un giornalista che avrebbe lavorato tre quarti d’ora alla settimana per otto mesi.
Nicolò Carosio non ha imparato il mestiere di cronista da nessuno: ha inventato lui il modello della radiocronaca vibrante. Nando Martellini fu un nuovo capostipite del calcio narrato senza urla ne isterismi. Ciotti aumentò il vocabolario di ruoli in campo: “Terzino fluidificante/ala tornante/mezzala di raccordo/mediano di sostegno o di spinta“.
Ed arrivò Tutto il Calcio Minuto per Minuto.
Quarant’anni di radiocronache talvolta saltando i pasti, notti in bianco e un infarto durante la conduzione de La Domenica Sportiva. Ha regalato alla Rai 6 mesi di ferie arretrate, ricordando lo stress ma anche dicendo che: “A parità di tempo fossi stato avvocato sarei stato miliardario“.
L’occhio veloce nel saper analizzare le partite e sintetizzarlo nel minuto di intervento (i bei tempi della contemporaneità dei campi), il nervosismo che gli fa ricordare tanti colleghi scomparsi prima del tempo, Valentini, Viola, Boscione, Barendson, Piero Pasini (morto dopo un intervento da Bologna) e che fa apprezzare a Ciotti tutti gli eventi che ha avuto possibilità di raccontare, da Olimpiadi a Mondiali passando per il Tour de France dove prese in simpatia un giovane Gianni Mura che già diciottenne “scrive come un poeta“.
Saranno le Olimpiadi di Messico 1968 a far da spartiacque alla storia di Sandro Ciotti. Dopo 14 ore ininterrotte di cronaca sotto la pioggia saltando da un impianto all’altro, da uno stadio ad un velodromo e poi ad un palazzetto la voce del giornalista si interrompe. La causa è edema alle corde vocali. Dallo spavento iniziale per il pensiero della carriera ormai finita ecco l’incoraggiamento che quella voce, roca e riconoscibile a occhi chiusi, sarà un marchio di fabbrica che incrementa la popolarità.
Ed infine le classifiche di ciò che gli occhi di Sandro videro:
Genio e sregolatezza: Sivori, Angelillo e Maradona.
Tragedie: Torino 1949, la morte in campo di Renato Curi e l’annuncio in tv della disgrazia che colpì Gaetano Scirea.
Miti: Castigliano, mediano del Grande Torino, Italo Allodi e Gino Cappello “tecnicamente il calciatore italiano più forte di tutti i tempi, matto come un cavallo!”
I sette peccati capitali: Arrigo Sacchi (superbia), Helenio Herrera (avarizia), Carletto Mazzone (ira), Carlo Ancelotti (gola), Paul Gascoigne (lussuria), Joseph Blatter (invidia), Vincenzo D’Amico (accidia).
La squadra più grande: Ungheria 1954, a seguire Inter e Milan anni 60, Ajax di Cruijff (con cui fece un docu-film dal titolo il Profeta del Gol).
I migliori raccontati: Maradona per la fantasia, Puskas per la potenza, Di Stefano e Boniperti per la grandezza.
Il libro è ovviamente un capolavoro!
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