A me Gianluca Vialli stava proprio sulle scatole. Non poteva esser diversamente. Mi ha dato una lezione che negli anni mi è poi servita per sorridere. Non sempre si può vincere, ma perdere è proprio brutto.
Mi stava proprio sulle scatole.
Talmente mi stava sulle scatole che l’ho amato e che sarà sempre tra i miei eroi d’infanzia.
Tra gli anni ’88 e ’91 ho vissuto l’infanzia calcistica più bella del mondo. Non conoscevo persone che se ne sarebbero andate improvvisamente facendomi capire la cruda vita, avevo la Serie A alla radio, Ciotti, Ameri, una grande Inter e nel 90-91 una Sampdoria tra le scatole.
Ma se quel 10 mi sembra affascinante nella sua irascibilità, quel 9 proprio non lo sopportavo. Irriverente, letale, dal sorriso che ti prendeva in giro, guascone, compagno di una squadra che è entrata nella storia ma che io, bimbo di 7 anni, non la potevo sopportare, perché quando da piccolo tifi per una squadra esiste solo quella, non la concezione che uno più bravo di te può prendere ciò che sogni.
Magari molti tifosi nerazzurri di oggi ricordano il 5 maggio per ciò che successo nell’anno del Triplete a pareggiare il danno morale del 2002.
In realtà ne esiste un altro di 5 maggio ed è quello del 1991, quando Inter e Sampdoria si affrontano a San Siro per la giornata numero 31 di campionato. Tra le due squadre appena tre punti di distacco, nella prima vera domenica in cui un bimbo scopre la tensione da primato in classifica.
Vialli si fece conoscere lì, al minuto 76, dribbling su Zenga e gol del 2-0, capriola e tanti saluti a tutti.
Mi stava proprio sulle scatole.
E ricordi il precedente anno?
Altro calcio, la Serie A mandava squadre in Europa per prendersi qualsiasi coppa. Il Milan ipotecava da diversi anni la Coppa Campioni, la Uefa era proprietà del nostro tricolore e in Coppa delle Coppe nella stagione che da lì a poco avrebbe visto Notti Magiche era arrivata, dirompente la Sampdoria di Vuja Bosov.
Uno che non potevi non amare, perché pareva tuo nonno, divertente e incazzoso allo stesso tempo, che guidava quella squadra dalla maglia strana, blucerchiata e non a righe verticali e che davanti aveva quei due lì. Uno simpatico e irascibile, l’altro proprio insopportabile.
Mi stava proprio sulle scatole.
Ma peggio, stava antipatico calcisticamente all’Anderlecht, perché quel 9 maggio ai supplementari Luca Vialli s’inventa la doppietta che porta a casa la coppa. Lo aveva detto in una cena tempo prima, dalla Samp non andiamo via senza prima aver vinto qualcosa. Spiegalo agli arabi che ricoprono di soldi CR7, la gloria, non ha prezzo.
Per me Luca Vialli non è assolutamente morto. Come non lo è Sinisa Mihajlovic. Andiamo, due così hanno solo cambiato campo, hanno deciso di non farsi vedere per un pochino.
Immagino le porte del paradiso come le selezioni di Masterchef. Sei in attesa di chiamata, hai tuoi ingredienti e quando ti presenti a chi di dovere spieghi chi sei. Mihajlovic non ha, ad esempio atteso, ha preso una bella noce di cocco, una bella rincorsa e con una cannonata ha buttato l’angolino dell’ingresso.
Pelé è stato più rispettoso, si è guardato intorno perché troppo sospettoso, gli angeli canticchiavano troppo spesso il ritornello “Oh mamma mamma… sai perché… mi batte il corazon… “.
Poi lui, gli occhi sorridenti, l’abbraccio col gemello del gol che oggi deve avere tutto il nostro appoggio, perché non esiste Mancini senza Vialli, più di Pippen con Jordan, Senna con Prost, Coppi con Bartali, duellanti o amici, con l’uno senza l’altro che difficilmente si possono citare.
Una capriola, il viso furbo ed “Eccomi qua, con chi devo giocare?“, trovandosi di fronte Best, Crujiff, Facchetti, Scirea e chi più ne ha più ne metta.
Dall’esordio nella stessa giornata che la Serie A conobbe DiegoArmandoMaradona (tutto attaccato) ne ha fatto di strada questo attaccante classe 1964, che ha sempre fatto di testa sua, dalla Cremonese per quattro stagioni sino alla Sampdoria, dove in ogni estate valanghe di miliardi bussavano alla porta di Mantovani per prelevarlo. Poi la Juve, una Champions alzata al cielo quando ormai le porte del Chelsea si stavano aprendo.
Perché Luca Vialli è stato anche tra i predecessori degli italiani all’estero, quando il Chelsea era più tricolore di tante squadre di A e che la Premier League si godeva la sua sfrontatezza e i suoi gol.
Vialli conduttore tv, perché una faccia da schiaffi come la sua bucava il video e mi ricordava che era nemico della mia Inter. Cavaliere in campo come definito da Boskov.
E infine, a parte consigliarvi il libro “La Bella Stagione“, credo nel destino. Quel Wembley fatale alla Sampdoria nel 1992 contro il Barcellona in Coppa Campioni divenne teatro dell’abbraccio più bello tra due amici che ci hanno fatto compagnia per tante domeniche. Vialli & Mancini, sempre così e se sarà brutto da ora in poi scriver solo Mancini basterà sollevare la testa, prender coraggio guardando lassù e fare una capriola.
Vialli avrebbe voluto così. Mi stava proprio sulle scatole. E l’ho amato per questo.