Non cercatelo sugli albi d’oro. Non chiedetegli neanche quanto ha vinto in carriera. Non ditegli che è una leggenda perché potrebbe ridere di gusto.
Nella Superbike odierna, povera di eroi e con un Rea pigliatutto, Slight rappresenta una parte di storia, lui che ha corso negli anni d’oro della categoria, lottando ad armi pari con i var Fogarty, Corser, Edwards e Russell.
Ad armi impari resta una sola cosa: la sfiga.
Slight e la buona sorte iniziano a litigare nel 1993, arrivato nel mondo dei motori con un titolo di campione d’Australia nel 1992 e con una guida talentuosa e ricca di talento.
Si diceva appunto del 1993, il neozelandese Aaron è nel team Kawasaki/Muzzy insieme a Scott Russell ed è capace di 10 piazzamenti sul podio e la vittoria a Monza, circuito dove senza una buona dose di follia non si vince.
Il team però ha occhi di riguardo solo per Russell, poiché la squadra è americana come il suo pilota e quando a Donington, con Slight agevolmente primo sul bagnato, arriva l’odine di scuderia in favore di Mr.Daytona, Aaron lo fa passare solo nell’ultima curva, causando una notevole figuraccia interna.
Morale della favola: Russell campione del mondo, Slight licenziato.
Nel 1994 si aprono così le porte della Honda per Slight, campionato chiuso al terzo posto, primo però tra le moto di Tokyo.
Sempre ed eternamente piazzato Slight colpisce il paddock per la simpatia e disponibilità verso tutti, con un tagli di capelli improponibili che ne fanno rilevare la follia ed un numero, il 111, che lo fa apparire unico.
Aaron è sempre tra i migliori ma la zampata verso l’ingresso nell’albo d’oro della Superbike non riesce mai.
Nel 1998, colui che fin lì litiga con la sfortuna, capisce di essere molto odiato dalla Dea Bendata.
A Monza disintegra un motore, a Laguna Seca cade in maniera drammatica fratturandosi la caviglia destra e saltando gara 2, così si arriva a Sugo per l’ultima gara del mondiale, con la seguente classifica:
–Slight e Corser punti 328,
– Fogarty 322,5.
Corser s’infortuna nelle prove e salta il gran premio, la sfida a due tra Aaron e King Carl viene decisa dalle gomme Michelin della Honda che non riesce mai ad impensierire il britannico della Ducati che quarto nella seconda manche con Slight settimo, risultato Fogarty punti 351,5 (a Laguna Seca punteggio dimezzato per tutti) Slight 347. Solo 4.5 miseri punti di distacco.
Le Michelin che non girano a Sugo funzionano poi perfettamente un mese dopo quando Slight nella gara ad inviti di fine anno è l’unico a scendere sotto l’1’30.
Dite che basta un campionato perso per 4,5 per essere etichettato sfortunato?
No.
Hockenheim 1999. Il vecchio circuito tedesco non è la versione attuale dove corre la Formula Uno. E’ la terribile e velocissima “tortura motoristica” di 6.825 metri che vide tra le altre cose l’incidente mortale del grande Jim Clark nel 1968, pista adattissima alla velocità della Honda numero 111 di Slight che studia per tutta la gara l’affondo su Carl Fogarty.
E per colpire meglio i tifosi aspetta l’ultimo giro, mette nel mirino la rossa di Borgo Panigale, attacca e passa King Carl esplodendo di gioia per la vittoria.
Peccato che in quel giro un pilota cade rovinosamente nelle retrovie con conseguente bandiera rossa e con ennesima beffa classifica valida con il giro precedente, con Slight secondo.
Bastasse solo questo per il povero Aaron.
Stagione 2000, 16 febbraio, test di Eastern Creek.
Slight lamenta un po’di emicrania ma continua a provare la sua nuova Honda VTR 1000. Di colpo però ecco il malore, problemi alla vista e perdita dell’equilibrio. Con calma, perché Aaron non è tipo che si spaventa facilmente, si reca in ospedale dove gli viene diagnosticato un aneurisma cerebrale con conseguente emorragia.
D’urgenza arriva l’operazione al cervello per togliere il grumo di sangue, fatale in molti casi, e seppur in una condizione definita gravissima, il pilota viene dichiarato fuori pericolo tre giorni dopo, con l’impossibilità però di ritornare in moto per tutto il 2000.
Impossibile per chi? Per Slight?
Ma non scherziamo. Miracle Man, come viene definito da quel giorno, torna in sella alla sua Honda 12 settimane dopo l’operazione, saltando solo 3 gran premi e scherzando sul suo cervello autodefinito “Già troppo piccolo di suo, quindi senza paura per quello che vi si trova dentro“.
Aaron però non raccoglie successi, diventando però l’emblema del coraggio e della follia che contraddistingue un pilota.
E’ ancora vivo e vegeto e si diletta con le macchine, in un palmares che annovera 229 gare disputate, 13 vittorie, 87 podi con 8 pole position e 3 vittorie consecutive alla 8 ore di Suzuka.
Non avrà vinto titoli, ma la leggenda col numero 111 sarà sempre uno dei capitoli unici della storia della Superbike.
Fonte: l’autore, Francesco Fiori
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