SLIDING DOORS: Elemento assolutamente imprevedibile che può cambiare la vita di una persona in modo altrettanto imprevedibile.
“Francé abbiamo un problema, devi per forza andare da tuo zio”.
Non ci penso nemmeno, io ho già i neuroni collegati con 90esimo minuto che da lì ad un ora andrà in onda. Che cavolo, l’Inter ha appena vinto 6-3, avrà segnato Matthaus come minimo 6 volte.
E’ lo sliding doors di un bimbo di 6 anni, che per una normale emergenza familiare deve andare dallo zio, che fino a quel pomeriggio è l’illustre protagonista delle serate in casa, un turbine di simpatia e carisma che trascina le splendide serate di fine anni 80, ma niente di più.
Cosa faccia quello zio al bambino poco importa, è quello che lo saluta così: “Ciao sporco interista!” e di rimando il bimbo: “Ciao sporco juventino!”, sorridendo, e facendo arrabbiare la nonna che con un discreto avambraccio minacciava schiaffi ad entrambi capendo chissà che cosa.
Lasciatemi divagare, è già un casino scrivere questo pezzo ma c’è una cosa nel weekend calcistico su cui non posso sorvolare: PLOAGHE-ALGHERO.
Cosa diavolo è Ploaghe per i molti che leggono da fuori Sardegna? Ploaghe è un paesino di 4.500 abitanti che milita oggi in Prima Categoria e che ai tempi, parlo inizio anni 90, era una fuoriserie calcistica tra Promozione ed Eccellenza.
Io volevo fare l’astronauta. Non so perché ma mi piaceva così. Il mio compagno di banco voleva fare il vigile del fuoco. Perché lo cito? Perché basta avere un attimo di pazienza.
Non so come si possano allineare i pianeti, ma quel giorno, spedirmi da quello zio, mi ha fatto conoscere il paradiso.
Quello della scrittura, quello di poter e dover raccontare eventi sportivi, si direbbe fare il giornalista, ma io a 6 anni la parola giornalista non la conoscevo.
Eppure son passati quasi 30 anni, potrei anche non ricordare cosa ho fatto stamane ma quel giorno per me è stampato nella memoria. Un mix tra la fisicità di Gianni Brera, l’ironia di Beppe Viola e la cultura assoluta di Sandro Ciotti, tutto questo era lo zio che osservavo, il cantore (per me chi scrive di sport è al pari di un poeta) di quel Ploaghe delle meraviglie.
Avevo appena 6 anni e i mitici anni 90 alle porte, “Notti Magiche”, un’Inter fenomenale (ma ripeto, se non lo scrivo il mio compagno di banco ha da ridire), ma nessuno mi spiegava cosa fosse seguire le partite, a parte 90esimo Minuto.
“Vai pure da tuo zio ma non disturbarlo, sta lavorando“. Capirai, ho pensato, di domenica lavora, figuriamoci, illudendomi che fosse una persona normale. Niente di più sbagliato, la visione di una figura megagalattica che scrive a più non posso qualcosa su un foglio, poi alza la cornetta, detta qualcosa e poi sorride, mi guarda e mi dice: “Gli articoli di calcio si fanno così!”.
“Articoli di calcio? Perché si può scrivere di calcio?” la risposta del bimbo astronauta. La risata di quell’orso-zio fu esemplare, ma anche la mia risposta fu bella (dai, me ne vanto), perché gli dissi: “Lo so fare anche io“.
Ricordiamoci che qua si parla di PLOAGHE-ALGHERO.
Quello zio non aspettava altro. Una sfida. Davvero il nipotino avrebbe potuto imitarlo? Impossibile, troppa la sua classe immensa (classifica mia, decisione mia, è il numero 1 al mondo), così basta poco per istigare il bimbo. “Se lo sai fare prova, i quaderni sono lì, le penne da quest’altra parte, voglio vedere“. Non credo di aver mai vivisezionato una puntata di 90esimo minuto come quel 21 ottobre 1990. Quel riassunto della Serie A scritto solo per mio zio, doveva esser solo per lui.
Col cavolo.
Quel “temino” mi è stato fatto raccontare davanti a tutto il parentado, che a fine anni 80 era il mio paradiso. Mio padre pensava fossi adottato perché per lui il calcio si limitava a Inter e Cagliari, mia madre stava già valutando qualche perizia psichiatrica, perché a 6 anni non era normale scrivere direttamente in “bella” e arrabbiarsi per le cancellature.
Sto discorrendo troppo. Ma per me PLOAGHE-ALGHERO è la partita.
Da quel pomeriggio magico e dal capire che esisteva un’entità nascosta che scrive di sport, che risulta giornalista, ogni domenica era un riassunto della Serie A dove si vantava qualcosa, non solo il solito Lothar Matthaus che rappresenta ancora oggi il mito estremo di chi vi scrive.
La frase ad effetto fu la seguente: “Francesco deve seguire con me la partita con l’Alghero capolista“, era quasi una benedizione, perché l’Alghero di quei tempi (e come oggi) era la capolista, ed andarci con il giornalista per eccellenza era il massimo che si poteva chiedere dalla vita.
Magari mi ha anche istigato su questa cosa, ma veder “Ploaghe-Alghero” è stato il mio mantra per tutta la vita. Ovvio, perché mio zio è morto 15 giorni prima del mio settimo compleanno e io con lui non ho mai visto una partita. Eppure quella tribuna è la mia.
E’ mia, perché da un paio di stagioni calcistiche a questa parte sono (più croce o delizia) l’addetto stampa della Pgs Ploaghe, perché la domenica la sabbia del Giovanni Cabigiosu Stadium (stadium è stato aggiunto da me) racconta le peripezie del Ploaghe attuale, di quello passato e di quello che verrà.
Quando domenica ci sarà Ploaghe-Alghero, io sarò indifferente nella mia bella postazione che risulta sulla linea di centrocampo, pronto a controllare ogni mossa del mister locale Elia Uleri, perché il destino fa giri del cavolo, ma poi fa anche ridere, perché è lo stesso che condivideva il banco con me alle elementari.
Se vince è solo merito mio. In caso contrario con una birra si risolve il tutto. Per il mio primo (finalmente) Ploaghe-Alghero. E mio zio mi controllerà dall’alto. Pronto a sorridere. BUON PLOAGHE-ALGHERO A TUTTI.