Ispirazione Sportiva esce oggi un po’ dalle righe. Coglie l’occasione per i saluti pubblici alla squadra di calcio della Pgs Ploaghe, dove Francesco Fiori ha scritto per sei anni (oggi all’Unione Sarda per il San Giorgio Perfugas) e lo fa con un pezzo incredibilmente bello e attuale di Nino Nutrizio, pubblicato sull’Almanacco Illustrato di Calcio del 1939, il primissimo di una storia lungimirante che dura ancora oggi.
Nino Nutrizio, capo dei servizi sportivi al popolo d’Italia s’è rapidamente acquistato largo seguito per la brillante e spregiudicata vivacità delle sue cronache calcistiche. Oggi forse dimenticato, ma non da noi che lo ricordiamo per esser strato, tra le altre cose, allenatore dell’Inter insieme al grande Peppino Meazza nel 1946. Questo però solo grazie ai buoni uffici di Emilio Colombo, direttore de La Gazzetta dello Sport, perché Nutrizio fu molto altro.
Dopo lo scoppio della guerra mondiale vide la morte in faccia quando, imbarcato come corrispondente di guerra sull’incrociatore Pola della Regia Marina vide la sua nave silurata dagli inglesi, in un 28 marzo 1941 dove in parecchi annegarono e lui fu salvato la mattina seguente già assiderato, venendo poi imprigionato per 5 anni tra Egitto, Palestina e India, dove per salvarsi s’invento maestro di giornalismo per combattere l’analfabetismo dilagante. Divenne poi la superstar del giornale La Notte, che dopo un magro esordio con mille copie vendute a malapena arriva a toccare la quota di 250.000 copie vendute, soprattutto a Milano. Ma non è per La Notte che lo vogliamo celebrare ma per un pezzo, ripetiamo, datato 1939, che ad oggi appare di grande attualità, specialmente per gli inviati nei campi di calcio. A loro è dedicato questo!
Questo suo scritto sul nostro giornalismo è una pagina densa di osservazioni piccanti e di piccole grandi verità professionali.
“Proprio a me, al più giovane della compagnia stabile delle stilografiche viaggianti, son venuti a dire: -Vedi di farci un pezzo come ti pare su quello che è il nostro mestieraccio, come lo vediamo e lo facciamo noi in realtà, non come vede e crede il pubblico che lo si faccia-“.
È una parola mettersi in questa impresa.
Per esperienza non posso parlare, perché se di esperienza ci fosse stato bisogno, ad altri sarebbe stato affidato l’incarico, ad altri che hanno i capelli già spruzzati di bianco o grigio e non a me che proprio l’altro giorno, ascoltando delle persone che parlavano del primo incontro, Italia Svizzera 7 maggio 1911, facevo mentalmente il calcolo dell’età che avevo in quell’epoca e aiutandomi con le dita della mano conclusi che ero arrivato alla rispettabilissima e matura anzianità di tre mesi di vita…. -3 giorni“.
“Che cosa posso dire allora del giornalismo calcistico?
Sì, qualche impressione potrebbe scappare fuori e per esempio questa: – “Noi che domenica per domenica ci ritroviamo nel settore stampa di tutti gli stadi a vedere le partite più interessanti più attese e più combattute – siamo delle persone invidiatissime”.
Ce lo hanno detto in tutti i toni coloro che una volta o l’altra ci hanno conosciuti, ce lo hanno fatto capire coloro che non conosciamo e che ci conoscono solo per approssimazione, con le loro occhiate assassine golose eloquentissime.
Beati loro, dicono, quei diavoli di giornalisti vanno dappertutto, vedono sempre tutto, si divertono, conoscono i giocatori, non pagano mai. In definitiva credo che gli incentivi maggiori dati a questa invidia per noi derivino proprio dal fatto di conoscere i giocatori e di non pagare. Quella questione del biglietto di ingresso, della mano al portafoglio che noi non mettiamo mai, non ci è perdonata.
E c’è moltissima gente che per avere quella gioia passeggera, che noi forse a causa dell’abitudine, non gustiamo più, sarebbe disposto ad accettare in blocco di mettersi al nostro posto ignorando che quel biglietto non pagato lo scontiamo amaramente più in là, proprio nel momento in cui noi cominciamo ad invidiare maledettamente coloro che l’hanno pagato e con i quali ci cambieremo subito“.
“Sì lo confesso dopo ogni partita io invidio terribilmente tutte le persone che erano presenti con me ad un incontro calcistico al quale ho assistito e che hanno pagato il loro bravo biglietto d’ingresso. Intanto cominciamo con il dire che tutti gli altri una volta seduto al loro posto si preparano a godersi in completa beatitudine lo spettacolo per noi, invece, comincia la delizia tiri fuori il taccuino e ti metti a scrivere le formazioni con la matita nella destra il taccuino sulla sinistra il cronometro sul polso sinistro e la sigaretta che ti brucia a turno ora le dita di una mano ora quelle dell’altra devi guardare devi individuare immediatamente i nomi devi ricostruire quello che è capitato un momento fa e che improvvisamente ha acquistato importanza mentre prima non gliene avevi attribuita; devi controllare il minuto esatto devi scrivere tutto.
Intanto i giocatori non si preoccupano di questi tuoi obblighi professionali e continuano a giocare. E capita che mentre stai mettendo sulla carta l’azione del minuto 26 che era stata bella ma non decisiva se ne verifica una al 27esimo nel corso della quale per fortuita combinazione uno segna all’improvviso. Il punto è arrivato a bruciapelo la gente non ha fatto in tempo a gridare nessuno ti ha dato il colpettino nel fianco per dirti “ohè fai attenzione che quello stanga in rete”. Alzi gli occhi e vedi vicino alla porta in un groviglio di giocatori tre che si abbracciano e 5 che si mettono le mani nei capelli. Chi ha segnato? Mah! Come hanno segnato? Bauh! Da chi è partita l’azione? Put.. put…put.. Al diavolo potevo stare a guardare invece di scrivere dici dentro di te e dalla rabbia dai giù inavvertitamente un colpo con la punta della matita sul foglio del blocchetto e la spacchi e quelli intanto continuano a giocare.
e tu non sai ancora chi ha segnato. un collega vicino a te scrive come un ossesso. lo invidi maledettamente. beato lui pensi che ha visto tutto che sa tutto che non ha dubbi. prendi il coraggio a quattro mani e tenti il colpo: -scusa quel passaggio è arrivato da destra o da sinistra – ti lancia un’occhiata feroce: “ma cosa dici? non hai visto che era una punizione dal limite dell’area ed è finita in rete per direttissima – accidenti che cantonata”.
“Non ti resta che scrivere: ventisettesimo rete su calcio di punizione. poi ci metti vicino 3 interrogativi. e al riposo aguzzando gli orecchi qualche cosa arriverai a sapere. mestiere delizioso. mondaccio cane, ma perché tutta questa invidia per noi?“…
“e questo sarebbe ancora nulla cosette da poco che ho messo in evidenza perché succedono realmente ma che non ci preoccupano più quando una certa praticaccia ci ha fatto padroni del mestiere. C’e di più c’è di peggio.
finisce la partita. la squadra che segui – è inutile che qui uno venga a fare la discussione del giornalista che deve essere neutro imparziale freddissimo oggettivo. uomini di siffatto genere non esistono. o se esistono è consigliabile non facciano più i giornalisti perché se sono mummie nella vita figuriamoci che razza di articoli potranno scrivere su una cosa che non gli interessa non li appassiona non li scuote non li riscalda, chi in una lotta fra uomini come è una partita di calcio non parteggia per questi o per quelli non è più un uomo ma una cosa di carne senza vibrazioni senza rispondenze senza vita – la squadra che segui dicevo – ha fatto una bellissima partita ha riportato una grande vittoria. tutti sono esultanti. tutti aspettano per l’indomani un poderoso articolo pieno di frasi originali di similitudini brillanti di giudizi audaci azzeccati nuovissimi”.
“Quei quattro che ti conoscono ti battono una mano sulla spalla e ti dicono:” mi raccomando, eh, vogliamo un pezzo con i fiocchi per domani un pezzo tipo speciale… tu fai un sorriso avvelenatissimo rispondi che il signore è troppo buono a dirti delle cose così carine prometti che farai del tuo meglio.
E comincia il più brutto pomeriggio della settimana. mentre intorno a te tutti sono contenti felici spensierati tu – giornalista -cominci a torturarti. vorresti trovare una battuta di sicuro effetto per incominciare perché sai che un pezzo si continua o si pianta lì a seconda del tenore e del valore delle prime 10 righe. metti nella macchina un foglio scrivi su la data e tre righe, le rileggi ci pensi su non ti vanno e butti via tutto. ricominci. invece di tre righe ne fai 10. ma quando sei alla fine del periodo e stai per iniziare il secondo ti vengono 100 dubbi 1000 sospetti 10.000 esitazioni. Ti fermi ancora. stai un pò li accendi una sigaretta. la fumi. leggi tutto ancora una volta. non va assolutamente. Ti vengono i nervi (sono cose che si dicono i nervi li avevi già prima) prendi il foglio per un angolo lo tiri con violenza. il rullo della macchina fa lungo crrrrr”.
“Tutto è ancora da rifare. le ore passano. pensi ai tuoi colleghi che a quell’ora sono già alla seconda colonna, pensi ai tifosi che sono tranquillamente seduti a un bar e bevono e cantano. senti che ti aspettano al varco. vorresti scrivere delle cose bellissime. ma la testa- questa testa vuota che il tuo tormento – si rifiuta di mettere insieme qualche cosa di buono. rinunci a tutte le velleità. attacchi con stile dismesso piatto scialbo incolore. quale tristezza!”
“Ieri davanti ad uno stadio gremito fino all’inverosimile si è disputata la partita più importante della giornata che con il suo risultato doveva avere conseguenze decisive per la classifica. il punteggio della gara non rispecchia l’esito del giuoco perché la superiorità dei bianchi pur non essendosi concretata in un solo punto è stata lunga pressante autorevole” robaccia. parole parole parole. frasi fatte di infimo valore. peccato. c’era da fare un pezzo così bello così vivo così sentito. invece un vero fallimento che cosa diranno domani lettori…”.
“Dannato mestieraccio sempre qui a tormentarsi a cercare qualche cosa di buono a spremersi il cervello per mettere giù un pezzo un pò decente. e invece disastro su tutta la linea. così stentando si va avanti alla meno peggio si imbastisce l’articolo si conclude lo si firma lo si telefona o – se ci si trova in sede lo si manda in tipografia”.
“Un’ora o due ore più tardi viene la voglia di rileggere il manoscritto o le bozze. non vanno assolutamente punto. almeno 10 cose importantissime che si sapevano e si volevano dire sono state dimenticate. Servizio orribile. peccato fare una figura così. allora sbotti fuori con lo sfogo ultimo, per tanto tempo tenuto nel gozzo per te incomprensibile: perché, perché tanta gente ci deve invidiare e non sa questo nostro travaglio, non capisce che quelle cose che leggerà l’indomani sono state scritte con fatica con tormento con un continuo desiderio di fare delle belle cose e con la triste constatazione di essere rimasti tanto al di sotto delle belle speranze… Beati gli sportivi che ora dormono e sognano la loro squadra che dopo aver pagato quel biglietto si sono divertiti tanto che nella partita vedono solo l’esaltazione della loro gioia della loro passione del loro tifo”.
“Questo è il nostro mestieraccio.
Per questo non vorremmo essere invidiati.
Alle volte capitano piccoli episodi che non si dimenticano. Mi permetterò di raccontarne uno recente. Ero a Marsiglia, nel giugno scorso per la partita Italia Brasile di campionato del mondo. avevamo vinto avevo fatto per il mio giornale un lungo servizio.
Alle 21 precise ero alla posta a chiedere la comunicazione con Milano. Quale schifo quell’ufficio telefonico di Marsiglia, puzzolente, sozzo indecente.
C’era un impiegato comunista che doveva avere il cambio alle 20. Il suo collega non si era presentato. Evidentemente quella sera non aveva voglia di venire a lavorare.
E l’altro, furibondo di dover stare lì un’ora in più non accettava più prenotazioni per conto di nessuno. Meno che mai per un giornale italiano. Prima alzai la voce, poi compresi che era inutile e peggio. Cercai di ammansirlo con le buone gli offrì da fumare, da bere, 20 franchi di mancia.
Niente.
Mi prometteva di chiamare Milano e Milano non arrivava mai. Le ore passavano. Io immaginavo i colleghi in redazione che stavano aspettando il servizio che diventavano nervosi, impazienti, preoccupati.
Giravo per quella stanzetta come una belva in gabbia. Cercavo negli uffici qualcuno che mi potesse aiutare. Non c’era anima viva. Finalmente, come Dio volle, dall’altra estremità del filo sentii la voce amica dello stenografo. Era la 00:15.
Avevo atteso per oltre tre ore. Con una calma che non avevo cercai di dettare con voce chiara limpida precisa. Quando pronunciai le ultime parole di chiusa e misi giù il cornetto mia accasciai disperato sul seggiolino.
Quelle tre ore di snervante furibonda attesa mi avevano ridotto a terra. Mi accorsi che sul foglio era caduta una lagrima. Piangevo dalla rabbia, dal dispetto, dall’impossibilità di sfogarmi.
Ancora oggi, se mi trovassi solo in mezzo alla campagna con quel ceffo da manigoldo, vedrebbe come gliela farei pagare.
E invece, uscendo, lo ringraziai. Era l’unica cosa che mi restasse da fare per dimostrargli che la soddisfazione di farmi vedere vinto non gliela volevo proprio dare. Questo è il nostro mestiere che si dica quel che si vuole senza passione senza amore senza tifo non si potrà mai fare”.
Nino Nutrizio, da l’Almanacco Illustrato del Calcio 1939. Un mito!