Il Divino Scorfano lo chiamava Gianni Brera, un giocatore esclusivamente mancino che avrebbe riscritto le leggi della fisica calciofila, quella dove Eupalla s’inchina al Diez, a D10s, a Diego.
No, ci siamo sognati tutto.
Lo spettacolo, difficilmente descrivibile, ha il primo capitolo a 10 anni, quando Diego viene individuato da un talent scout mentre gioca nella sua squadra di quartiere, Estrella Roja, ed entra a far parte dei Los Cebollitas (Le Cipolline), ovvero le giovanili dell’Argentinos Juniors.
Al provino del 1969, da Villa Fiorito all’Argentinos Juniors tutto era complicato. Non ha neanche 9 anni il futuro genio del calcio che però in campo fa cose da grandi. El Pelusa, nasce di domenica, una luminosa domenica del 30 ottobre 1960. Diego è il quinto figlio di dona Tota, il primo maschio di 8 componenti che dormono tutti in una stanza. Non c’è corrente, non ci sono fogne. Oltre alla camera per i bambini esiste solo un’altra sala.
A Villa Fiorito da Esquina, provincia di Corrientes, c’è un piccolo cannone come reliquia del passaggio di Giuseppe “José” Garibaldi, eroe dei due mondi. Come eroe dei due mondi diventerà Dieguito.
Don Diego, detto “Chitoro” prese il cognome dalla madre, poiché mai riconosciuto dal padre naturale. Maradona ha ascendenze croate “dona” Tota si chiamava Dalma per la Dalmazia terra d’origine del bisnonno Matteo Kariolic, nato nel 1848 nel Comune di Bucari (Bakar in croato) ed emigrato poi in Argentina. “Chitoro” deriva dalle parole amico e toro, nomignolo affibbiato a causa di un rapido recupero dalla rottura di tre costole sollevando delle casse troppo pesanti.
Dona Tota ha un debole per il figlio maschio, a lui va la fetta più grande se c’è carne e lei finge mal di stomaco. Il provino con i Cebollitas per il piccolo è un sogno. Diego non ha niente e gli vien regalato un pallone, la maglia e i calzoncini.
In Argentina nessuno crede che Diego abbia 8 anni quando fa i provini per la squadra dei Cebollitas, con Francis Cornejo che da scopritore del ragazzo si prende un posto nella storia. Il colpo di fulmine? Diego domina il pallone col mancino, non lo fa cadere in terra, pallonetto sull’avversario poi riprende la palla e si invola verso la porta. Il piccolo fenomeno viene chiamato da tutti pelusa per la folta capigliatura. Con i Cebollitas Maradona viene di tanto in tanto nascosto, oppure gli si cambia il nome, come in incognito, come un’arma a sorpresa. Contro il Boca, sotto tre a zero, Maradona, col cognome Montanya, entra e la gara finisce tre a tre, tra le proteste dei più forti per averlo schierato.
In tanti ricordano a memoria la formazione dei Cebollitas, con Maradona a centrocampo partendo dalla sinistra, e dietro il trio Duré, Carrizo e Delgado. E’ la squadra giovanile più forte del calcio argentino, imbattuti per 136 partite di fila, con gol che vedremo anche tra i professionisti, come nel Torneo Evita 1973 quando salta 8 avversari e quando segna di mano, rapido e invisibile. Solo lui può.
“El futbol mamma, el futbol mamma!”
Il 20 ottobre 1976 Maradona debutta nella serie A Argentina con gli Argentinos Juniors, entra al posto di Ruben Giacometti, non ha neanche 16 anni.
Alla prima palla che tocca fa tunnel all’avversario, la vittima è Juan Domingo Cabrera che tempo dopo ammetterà di esser conosciuto più per quello che per i 7 gol segnati in 141 partite.
Contro il San Lorenzo per Maradona arrivano i primi gol, due, nel novembre 1976. Non esistono filmati, Diego entra nel 2° tempo quando i cameraman son già andati via.
Il 27 Febbraio 1977 debutta in nazionale e conosce anche Claudia Villafane, figlia di un tassista. Con Maradona, i “Bichos”, gli insetti, diventano una big, con il trionfo nei cannonieri al Metropolitano ’78, ’79 e ’80 con 22, 14 e 25 gol, poi si conferma bomber al Nazionale ’79 e ’80 con 12 e 18 reti.
Nel mentre, El Diez è convocato per un amichevole contro l’Uruguay nel ’78 ma Menotti non lo porta al mondiale. Pazienza, seppur questa è la sua più grande delusione, si rifà laureandosi campione del mondo Juniores in Giappone battendo per 3-1 l’Urss con 1 suo gol. Appena Havelange si distrae Diego si prende la coppa e se ne va a festeggiare. Suggestivo che in nazionale sia lui (27 febbraio 1977) che Lionel Messi abbiano debuttato contro l’Ungheria (7 agosto 2005).
Hugo Gatti, folle portiere del Boca, lo provoca dicendo che diventerà un barilotto. Diego promette vendetta e nel 5-3 vincente gli rifila 4 reti, con gol su rigore, azione e punizione.
Nei 3 anni nell’Argentinos Juniors per Maradona arriveranno 35 presenze con 26 gol nel 1978, 26 presenze e 26 gol nel 1979 e infine 45 presenze e ben 43 reti nel 1980.
Ma dopo lo show al Monumental è il River Plate a volere a tutti i costi Diego, senza però aver denaro a disposizione. Poi si sveglia il Boca dopo l’intromissione del Barcellona, quattro milioni per il prestito, altri quattro per averlo definitivamente e sei giocatori all’Argentinos Juniors.
Doppietta all’esordio contro il Talleres in un Boca debolissimo, col River che ha mezza squadra Argentina.
Inizialmente osteggiato Maradona ci mette poco per diventare idolo, gli Xeneizes organizzano un’amichevole dove gioca 1 tempo con l’Argentinos e uno col Boca, finisce 3-2 e lui segna con la ex squadra, poi timbra 28 gol in 40 partite. Nel primo Superclassico segna un gol immortale a Fillol, slalom, dribbling sul portiere, piatto che toglie il tempo a Tarantini in tuffo disperato. Nonostante il trionfo del 1981 (unico in Sudamerica) e le numerose amichevoli per gli incassi, il Boca non riesce a riscattare Diego.
L’amaro in Barca
José Luis Nunez, il presidente più longevo del Barcellona, dal 1978 al 2000, non bada a spese. 5,9 milioni di dollari all’Argentinos e 2,3 al Boca per avere Diego, con Lattek, l’allenatore, che vorrebbe Rummenigge e si ritrova l’argentino. Dal 1960 al 1982 il Barca trionfa solo nel 73/74 con Cruijff e vede ben 14 titoli dell’odiato Real Madrid. L’annuncio del suo passaggio in Spagna viene dato dopo il Mundial 1982 per motivi di ordine pubblico.
Gli dicono che dal pianeta Blaugrana non si muoverà più invece dura appena due stagioni, nella prima KO per un’epatite o malattia venerea secondo i maligni, e neanche l’arrivo in panca di Menotti riesce a migliorare l’ambientamento.
Vince la Copa del Rey sfilandola al Real con vittoria per 2-1 al Camp Nou davanti a 120.000 tifosi, ma il 24 settembre 1983 Goicoetxea gli spezza la caviglia, lasciando Maradona lontano dai campi per 106 giorni, facendogli perdere il 30% di mobilità all’arto, ed è in questo periodo che la polvere bianca, sottoforma di cocaina, entrerà di prepotenza nella vita dell’argentino.
In finale nella successiva coppa di Spagna si vendica sul macellaio dell’Athletic Bilbao scatenando una delle risse calcistiche più famose nella storia. Per Diego è la conclusione dell’avventura nella Liga. Italo Allodi guarda la partita dalla tribuna e inizia a sognare di portarlo in Italia.
Il rosario di maggio e quel benedetto 5 luglio 1984.
Quello che segue è il racconto, giorno per giorno, del calciomercato 1984, quello che in Italia portò dei fenomeni ma soprattutto lui: Diego Armando Maradona.
La base: il manager Cyterszpiler contatta il presidente Sibilia dell’Avellino che lo indirizza al Napoli. Poi imitano Nunez per contattare Ferlaino.
6 maggio 1984: Maradona: “Verrei di corsa in Italia”. Ci crede solo il Napoli.
13 maggio 1984: La Bild: “Maradona è della Juventus. In alternativa andrà alla Fiorentina“.
17 maggio 1984: Sui giornali: “La Juve su Maradona, Boniek va in Spagna”.
18 maggio 1984: Sui giornali: “Il Napoli tratta Maradona e stuzzica Falcao”.
19 maggio 1984: Maradona: “Io al Napoli? Forse, chissà, tra qualche anno”.
24 maggio 1984: S’inserisce l’Udinese, Zico in cambio di Maradona con l’aiuto della Juventus. Diego andrebbe due stagioni in Friuli per passare poi ai bianconeri di Torino.
26 maggio 1984: Iuliano, dirigente ed ex capitano del Napoli, vola a Barcellona. E’ il primo vero contatto per ingaggiare Maradona.
27 maggio 1984: Sui giornali: “Maradona è del Napoli, perfezionato l’ingaggio del secolo”.
28 maggio 1984: Napoli, si cerca il secondo straniero.
29 maggio 1984: Il Barcellona dà il via libera alla trattativa ma vuole 17 miliardi.
30 maggio 1984: Manca il denaro per l’operazione Diego, poche banche danno fiducia a Ferlaino.
1 giugno 1984: Nunez: “Maradona? Non è mai stato messo sul mercato”.
2 giugno 1984: Il Napoli offre 11 miliardi. Non bastano, il Barca rifiuta.
3 giugno 1984: “Maradona vuole il Napoli, forse si può fare!”
4 giugno 1984: Il Barca chiede 13 miliardi pagabili in tre rate. Ma pretende fidejussioni e garanzie per l’intera cifra.
5 giugno 1984: Dalla Spagna: “Napoli stai tranquillo, Maradona è tuo”.
6 giugno 1984: Maradona: “Darmi al Napoli è un affare per tutti”. Si fa fotografare con la maglia partenopea.
7 giugno 1984: Maradona: “Voglio il Napoli, a Barcellona non resto”.
8 giugno 1984: Il Barcellona non cede. I miliardi fanno gola ma si teme la reazione della tifoseria. Il Napoli costretto a virare su Altobelli, Beccalossi e Serena.
9 giugno 1984: Maradona implora il Napoli a non mollare. A Barcellona non si sente amato.
13 giugno 1984: Secondo assalto Napoli, offerta da 10 miliardi e parte subito in anticipo in dollari.
14 giugno 1984: Napoli festeggia, Barcellona smentisce.
15 giugno 1984: Gli spagnoli tentennano ma accettano la caparra.
17 giugno 1984: Alle elezioni europee si registrano quasi 25.000 voti nulli a Napoli, tutti col nome Maradona, un risultato che a Diego avrebbe dato almeno un 4% come partito.
19 giugno 1984: Il Barca pretende ulteriori garanzie, Ferlaino rilancia a 13 miliardi.
22 giugno 1984: Ferlaino parla con Nunez, la caparra va bene.
23 giugno 1984: Ultimatum Napoli che ha già versato 5 miliardi: “O si firma accordo entro 4 giorni o salta tutto”. Ricordiamo che il calciomercato chiude il 30 giugno.
26 giugno 1984: Tutti negano a Barcellona ma i Blaugrana accettano la proposta del Napoli.
29 giugno 1984: Il Barca rilancia, vuole altri due miliardi. Ferlaino sbotta e rientra a Napoli, secondo tutti Maradona è perso.
30 giugno 1984: Iuliano è ancora in Spagna. Ha il telefax firmato con la conferma dei 13 miliardi accettati. Minaccia di rivolgersi all’Uefa con multa e risarcimento totale dal Barcellona. Il Napoli si inserisce su Hugo Sanchez, obiettivo Blaugrana, lasciando così in Spagna un Maradona furioso. Gaspart, vice di Nunez, invita Cyterszpiler (manager di Diego) e Iuliano, cerca di strappare altri 2 miliardi ma poi cede. Ferlaino vola a Barcellona. Leggenda narra che il contratto depositato nell’ultimo giorno utile non è firmato ma che sarà poi sostituito da Ferlaino.
4 luglio 1984: Diego firma per il Napoli.
5 luglio 1984: Il San Paolo è pura apoteosi. 1.000 lire il biglietto per la presentazione. Arrivano in 70.000 e forse più. Nel mondo sentenziano: “Il giocatore più costoso del mondo nella città più povera d’Italia e d’Europa”.
Il Napoli prende Diego che ha appena 23 anni. Alla sua presentazione premia la squadra giovanile degli Allievi che ha in rosa un certo Ciro Ferrara. “Qui mi aspetto di trovare la tranquillità e il rispetto che non ho avuto a Barcellona”. L’attacco del Napoli è condiviso con Daniel Bertoni e non son rose e fiori ma anzi punizioni battute a tradimento.
In squadra lega molto con Pietro Puzone che vive ad Acerra. In quel paese è lo stesso compagno di squadra a chiedere a Diego un’eventuale amichevole per devolvere l’incasso ad un bimbo che deve subire una complicata operazione. In vista della successiva gara contro il Torino tutto sembra complicato, anche perché insorgono le assicurazioni per i calciatori che fuori dai campi della Serie A nulla possono per coprire gli eventuali rischi. Poco male, si muove il 10 che paga di tasca propria 12 milioni alle agenzie e il lunedì dopo la sfida con i granata ecco il Napoli riscaldarsi nei parcheggi e poi Diego segnare in amichevole dribblando tutti. Certo, Ferlaino avrebbe potuto punire tutti, ma sarebbe andato contro il suo fenomeno. Quindi un abbraccio e nulla di fatto,
“Litigare con Diego? Ma Diego ha litigato anche col Papa per i tetti d’oro del Vaticano!”
Il Napoli fa di tutto per far sentire Diego a casa, anche liberare galline prima dell’amichevole col River in piena tradizione del Boca Juniors, d’altronde giusto tenersi stretto l’oro dopo che il campionato precedente ha visto i partenopei all’11°posto, con appena un punto in più del Genoa retrocesso.
Il 16 settembre 1984 Maradona conosce la Serie A con la sconfitta col Verona poi futuro campione d’Italia, poi primo gol su rigore contro la Sampdoria 7 giorni dopo, quando Vialli è alla seconda presenza in campionato. Ah, la Samp, croce e delizia dell’avventura maradoniana, primo e ultimo gol nella nostra patria. Al debutto l’argentino è il “10” tra Penzo (9) e Dal Fiume (11) in una squadra modestissima che raccoglie due sconfitte nelle prime tre gare.
Ah, dettaglio di poco conto, quella Serie A del 1984/85 annovera tra gli altri Dirceu, Stromberg, Ramon Diaz, Socrates, Rummenigge, Platini, Laudrup, Hateley, Falcao (anche se solo per 4 partite), Zico, Schachner, Briegel e Larsen, oltre a Francis due volte campione d’Europa col Nottingham Forest.
Il primo show è contro la Lazio allenata dal Toto Lorenzo, provandoci con la mano ma gol annullato, segna di rapina su retropassaggio killer da Vianello, poi autogol su cross di Diego, pallonetto impossibile su Orsi e infine gol direttamente su angolo.
Racconta Ciro Ferrara un aneddoto su Diego: “Per me era già tanto essere in prima squadra, durante le partite mi scaldavo per lungo tempo ma non entravo mai. Diego un giorno mi prese in disparte e mi disse – Ciro, ma tu ti scaldi troppo lontano dal mister, quello si scorda! – così iniziai a far stretching vicino al mister che di botto mi fece entrare più spesso. Anche in questo caso El Diez ci aveva visto lungo!”
Al secondo anno il Napoli compra Garella, i difensori Renica e Filardi, Pecci e Bruno Giordano richiesto proprio dal Diez durante una gara con la Lazio. Cambia anche la guida tecnica con Bianchi al posto di Marchesi. A Diego gli viene anche affidata la fascia da capitano, direttamente da Beppe Bruscolotti: “Ci devi guidare perché puoi farlo”. Maradona cambia tanto, chiede i premi per tutta la squadra e non più solo per i titolari, perché ai tempi i giovani senza contratto dovevano giocare almeno 14 partite per ottenerlo.
Il 3 novembre 1985 è una data storica, dopo aver battuto 5-0 il Verona tricolore arriva la Juve. Al 72° punizione a due, quella che poi diventerà LA PUNIZIONE, con Pecci che tocca per Diego e lui la mette in un angolo impensabile, tanto che allo stadio si registrano 5 svenimenti e 2 principi d’infarto.
C’era la conferma che quel 10 non era normale. Fantasia, visione di gioco, capacità di calamitare il pallone e fargli compiere traiettorie inimmaginabili.
“Gracias Dios, por el futbol, por Maradona, por estas lagrimas, por este Argentina-Inghilterra 2-0”
Victor Hugo Morales
Maradona è carico a mille per il mondiale che si disputa in Messico nel 1986. Ha assaggiato la Serie A (in Messico prende con sé pure il massaggiatore Carmando) e si presenta al pieno della maturità agonistica. Dietro di lui, beh, il vuoto. Curiosità a margine, la “ola” nacque proprio in quel torneo che per Diego era una questione di principio. Troppo inesperti nel 1982 al cospetto di Brasile e Italia, con gli Azzurri che incrociano ancora la Seleccion pareggiando 1-1 con gol del Diez e di Altobelli. Le due squadre a braccetto passano il turno superando Bulgaria e Corea del Sud.
Il turno successivo, a eliminazione diretta, fu il primo sofferto per l’Argentina che supera solo 1-0 l’Uruguay con gol di Pasculli in una partita nervosissima ma che vale l’accesso ai quarti. Qui l’Argentina gode dell’eliminazione dell’odiato Brasile contro la Francia ai rigori, ma soprattutto è la sfida con l’Inghilterra a elevare Diego a leggenda del calcio. Si giocava nel nome della guerra nelle Falkland con numerose vittime sudamericane, una rivalità che esiste tuttora da quel 1986. Per il 10 c’era in ballo l’onore. E niente meglio di fregare il portiere inglese con un gol di mano.
“Venite ad abbracciarmi o l’arbitro annullerà la rete!”
Maradona non si limitò al gol di mano. A nove minuti dall’inizio del secondo tempo riceve palla da Hector Enrique, siamo nella parte di campo argentino, parte il 10, supera Hoddle, Reid, Sansom, Butcher e Fenwick, esce il portiere Shilton, dribblato anche lui, palla in rete! E’ il gol del secolo!
Disse Lineker: “Quando Diego segnò il secondo gol contro di noi mi son sentito di applaudire come mai capitato prima”.
“L’unico gol di testa importante è stato segnato con la mano”
In semifinale c’è il Belgio spettatore non pagante che ammira la doppietta di Diego nel 2-0 che vale la sfida finale contro i tedeschi. La Germania marca a uomo Maradona con Lothar Matthaus e finché l’asso tedesco lo controlla tutto è quasi ok, perché Diego non segna ma l’Argentina si porta avanti 2-0. Poi la sveglia suona per i tedeschi liberando Matthaus dai compiti difensivi arrivando al pari con Rummenigge e Voller. Ma con l’incombenza dei supplementari ecco la magia del 10 che lancia Burruchaga che segna il definitivo 3-2, l’Argentina è sul tetto del mondo.
L’idolo di Diego è stato Ricardo “El Bocha” Bochini, il “Woody Allen che giocava a calcio” che a 19 anni batte la Juventus nell’Intercontinentale del 1973. Con l’Independiente vince 2 continentali, 4 Libertadores e contro il Talleres in 8 contro 11 si prende l’ennesimo campionato. Maradona pretende El Bocha nella rosa Mundial e viene accontentato, con un “Entri Maestro” al momento dell’ingresso in campo del Belgio, dandole addirittura del voi!
“Si stato ‘o primmo ammore… e ‘o primmo e ll’ùrdemo sarraje pe’ me!
Dal trono del mondo inizia il culto Maradoniano a Napoli, il 1961 come anno 1 dopo Diego (d.c.). Il campionato 1986/87 vedi in pole Juve e Roma che hanno dominato il precedente campionato, poi c’è la novità del Trap alla guida dell’Inter e il Milan del neo presidente Silvio Berlusconi.
Diego viene atteso come il Messia. Quando raggiunge il ritiro di Madonna di Campiglio non trova nessuno, accende la luce della sua camera e di botto tutta la squadra, Bianchi compreso, gli salta addosso, festeggiando con… un’anguria, visto che non c’è di meglio!
Nella prima partita con il Brescia Diego è fiero della fascia da capitano che porta al braccio e segna subito il gol decisivo. Neanche il tempo di festeggiare che una settimana dopo ecco la bomba della Rai. Dal reparto di ostetricia una ragazza con in braccio un bimbo dichiarava: “Si chiama Diego Armando come il papà ed è il figlio di Maradona”. Ci fu un clamore senza precedenti, col giocatore che per protesta decide di non parlare per lungo tempo ai microfoni della televisione italiana.
La Juve vola in testa dopo 3 turni, il Napoli pareggia con Udinese e Avellino e i tifosi partenopei chiedono Carlos Biliardo, campione del Mondo 1986, come guida tecnica. La mossa decisiva sarà l’acquisto dalla Triestina di Francesco Romano nel mercato di riparazione di ottobre. La “Tota”,come veniva chiamato da Diego, dall’esordio non salterà neanche una partita e il suo essere regista classico darà il salto di qualità ad una squadra che precedentemente aveva acquistato Andrea Carnevale, Nando De Napoli e Raffaele Di Fusco, portiere che si vedrà anche in campo come attaccante.
Ci si mette di mezzo anche l’eliminazione dalla Coppa Uefa contro il Tolosa ai rigori, ma il Napoli reagisce vincendo con Torino e Samp a Genova, Maradona espugna Roma e poi il 9 novembre 1986 scrive la storia quando si va a vincere in casa della Juventus per 3-1, vittoria che mancava da 29 anni.
Nelle prime 13 partite di campionato nessuna sconfitta, ma la caviglia e la schiena di Diego iniziano i tormenti, con i dolori trattati a suon di infiltrazioni.
La prima sconfitta arriva a Firenze con il 3-1 che la Fiorentina di Antognoni rifila agli azzurri, primo stop cui seguiranno 5 vittorie consecutive.
Quando il Napoli perde 3-0 a Verona, con tanto di rigore sbagliato da Maradona e parato da Giuliani l’Inter si rifà sotto, a meno 2 e con lo scontro diretto a favore, con le ultime partite giocate col cuore in gola.
Contro il Milan al San Paolo Carnevale e Maradona tengono alta la Ma.Gi.Ca, il tridente più forte del campionato, poi la sconfitta di Ascoli costa il campionato all’Inter. Il 10 maggio è tutto apparecchiato per la storia, arriva la Fiorentina di Baggio in uno stadio di Napoli stracolmo e interamente azzurro.
Il pareggio firmato da Carnevale e Roberto Baggio consegna al Napoli il primo storico scudetto della storia, con Maradona che realizza 10 reti, una in più di Carnevale, con 5 gol di Giordano a completar l’attacco.
Garella si fregia di un altro tricolore dopo quello storico con il Verona, Bruscolotti piange di gioia e un giovane Ciro Ferrara tocca il cielo con un dito. Ora tutti ripensano alla sera prima della partita, quando nessuno riesce a dormire e a Bianchi toccano una serie di ramanzine per riportar la calma.
Luigi Necco in campo su Maradona un paio di partite prima del dolce evento: “Diego, guarda verso la camera davanti a te e dimmi, da questa distanza quanto è lontano lo scudetto?”
Erano i tempi in cui il riscaldamento lo si faceva nel sotto passaggio o nelle stanze adibite a palestra, una volta fuori dalla gradinata che porta al manto erboso del San Paolo l’emozione è unica. Maradona vince finalmente in casa e c’è anche una Coppa Italia da vincere contro la retrocessa Atalanta, un trofeo arrivato con tutte le partite vinte, come solo il Grande Torino e la Juve di Sivori e Charles ha saputo fare.
Avrebbe vinto uno scudetto quel Napoli senza Maradona? No. Il girone di ritorno vede una sola sconfitta e Diego è anima e motore della squadra, un po’ come “Palo e fierr” Bruscolotti. Loro due più di altri saltano di gioia da campioni d’Italia.
“Soltanto un giocatore vinceva le partite da solo: Maradona”
Negli anni ’80 esistono tradizioni che non si devono scalfire. Una di queste riguarda la partita alla radiolina e poi correre a casa per ascoltare Luigi Necco da Napoli a 90°Minuto, trasmissione record che raccoglie più dell’80% di gradimento auditel.
Necco è il cantore del Napoli maradoniano, è spettacolare ogni domenica: “Sì, Valenti, eccoci qua, prego il cameraman Ambrosio e il regista Ciampa di inquadrare i tifosi del Napoli, hanno promesso di non gridare troppo”. “Milano chiama, Napoli risponde!”
Dopo lo scudetto vinto arrivano le prime pause di Maradona. Nel 1987/88 arriva Careca che, nonostante sia cercato da mezza Europa, sceglie di giocare per il Napoli, a riprova del nuovo status della squadra ormai in chiave top club. La sfortuna di quella squadra arriva nel sorteggio della Coppa Campioni che immediatamente li mette di fronte al grande Real Madrid che li elimina subito, con Diego che pretende da Ferlaino che l’incasso record sia reinvestito nelle infrastrutture della squadra. Poco male, testa al campionato ed ecco 21 punti su 24 nelle prime 12 partite, poi il buio.
La botta nella sconfitta per 4-1 col Milan è solo l’inizio, l’assenza di Allodi per motivi di salute fa naufragare la nave che si scioglie come neve al sole, perdendo anche lo scontro diretto, ancora con i rossoneri, in una partita che viene trasmessa dalla Rai in diretta (solo il secondo tempo) in un clima surreale.
Viene ipotizzato di tutto per quel crollo così innaturale. Camorra, totoscommesse, spogliatoio spaccato, non si conoscono mezzi termini, dalla venerazione alla critica impazzita, con i giocatori che anziché calmare le acque spuntano fuori con un comunicato stampa scritto a mano, dove si evince il rapporto mai esistito con l’allenatore.
La bomba era scoppiata contro Bianchi, l’insofferenza era tanta, con Maradona già in vacanza anticipatamente vanno via Garella, Bagni, Giordano e Ferrario, con una sinfonia unica di fischi nell’ultima partita di casa. Per Diego poco importa esser capocannoniere della A con 15 reti, con Careca vice a quota 13.
“Se fossi con un vestito bianco a un matrimonio e all’improvviso arrivasse un pallone infangato, lo stopperei di petto, senza pensarci”.
Maradona prosegue ad attirare in maniera costante una pressione enorme. La città inizia a mormorare sulle uscite extra di Diego. Lo stesso Ferrara, che abita nello stesso stabile, più volte sente la Ferrari dell’argentino uscire a tarda notte.
Nel 1988/89 arrivano Alemao, Crippa, Corradini e in porta Giuliani. La prima sconfitta alla seconda di campionato contro il Lecce non demoralizza, perché sette giorni dopo arriva un roboante 8-2 al Pescara e alla sesta giornata si va ad espugnare Torino, in casa Juventus, con uno storico 3-5 con tripletta di Careca, che anticipa di sette giorni un’altra grandissima vittoria, un 4-1 al Milan degli olandesi con vendetta per la precedente stagione.
Fin dalle prime dieci giornate si capisce che lo scudetto può esser del Napoli, solo che questa volta è l’Inter dei tedeschi Matthaus e Brehme ad imporre un cammino record alla Serie A, infilando vittorie su vittorie e vincendo lo scudetto proprio in casa contro il Napoli, con Maradona che può solo esser spettatore nel trionfo nerazzurro.
Poco male, il Napoli parlerà in Europa. La Coppa Uefa ai tempi vale quanto una Coppa Campioni. I partenopei liquidano il Paok con un 1-0 al San Paolo, rigore di Diego, poi 1-1 in Grecia con gol di Careca.Il turno successivo è con la Lokomotiv Lipsia con Francini che segna e fa uscire gli azzurri con un prezioso 1-1 dalla Germania poi chiuso con un 2-0 casalingo ancora con Francini e con un’autorete di Scholz.
Agli ottavi lo scoglio si chiama Bordeaux di Scifo, sistemato con un gol di Carnevale in casa e uno 0-0 in Francia, con Roma e Inter eliminate in quel turno.
I quarti sono la sfida che Maradona e compagni vogliono: la Juventus di Zoff.
All’andata il monologo è solo di Rui Barros e Zavarov, un 2-0 che non lascia speranze per il ritorno, ma a Napoli dopo 10 minuti Diego segna su rigore e al 45’ è Carnevale a ristabilire la parità. Nei supplementari, con lo spettro dei rigori dietro l’angolo è Renica al 119’ a far delirare il San Paolo per il 3-0 che vale la semifinale europea.
Il penultimo ostacolo al trionfo è il Bayern Monaco che ha già eliminato l’Inter in questa Uefa. Il 5 aprile Careca e Carnevale sistemano per bene i tedeschi, poi a Monaco di Baviera si assiste ad uno dei primi riscaldamenti in campo. Vogliono spaventare il Napoli con la musica assordante e ottengono il risultato opposto. Sotto la musica di Live is Life si assiste al più bel giocatore che appare un tutt’uno col pallone. Quel giocatore è naturalmente Diego Armando Maradona, con l’espressione facciale di chi la sa lunga, infatti doppietta di Careca e si va in finale.
Altra squadra teutonica in finale, lo Stoccarda di Buchwald, Katanec e Klinsmann, battuta in rimonta a Napoli dopo il gol di Gaudino con rigore di Diego e gol di Careca. L’apoteosi il 17 maggio quando il 3-3 consegna ai nostri la prima Coppa Uefa della storia.
Diego però non è felice. Chiede a Ferlaino di mantener la promessa fatta e lasciarlo libero di andare a Marsiglia. Non se ne farà nulla e Maradona sparisce.
“Non pretese mai di essere un esempio per i giovani“
Nel 1989 Necco nutre le informazioni sulla caccia di un disperso Maradona in Argentina. Il giocatore preferisce la pesca di dorados a Esquina, terra d’origine dei suoi. La Copa America è stata un disastro e il morale è a terra. Salvatore Biazzo, voce Rai, lo trova in Avenida del Libertadores, angolo Calle Correa, dove scomparvero migliaia di dissidenti argentini sotto la dittatura di Jorge Rafael Vidal. Diego vede i giornalisti e li osserva da lontano, così gli stessi smontano le luci dei lampioni in strada. Appena El Diez sbuca fuori ecco l’intervista, col giocatore barbuto e ingrassato che concede 3 minuti che la televisione italiana rivende a ben 42 paesi, col TG2 in piena rivalità professionale che nega le immagini a TG1 e TG3!
La Juve stanzia 30 miliardi per potenziarsi con 7 giocatori tra cui Schillaci. Al Bologna approda Geovani che si presenta così: “Sarò il vostro Maradona”. Fa 2 gol in 27 partite e si rivela un flop. Il campionato parte in anticipo per Italia ’90.
Al Napoli arrivano Mauro, Zola e Baroni ma la prima convocazione per Diego arriva solo alla quinta giornata, dove contro la Fiorentina parte dalla panchina, entra al 46’ al posto di Massimo Mauro e con la sua squadra sotto 0-2 innesca la rimonta che vede l’autorete di Pioli, il gol di Careca e Corradini e il primo posto in solitaria, grazie alla sconfitta della Juve a Milano contro l’Inter.
E’ titolare già 7 giorni dopo a Cremona dove Maradona segna il gol dell’1-1, con la Roma che appaia i partenopei in cima alla classifica. Passa un altro turno e Diego prende coscienza che è un grande Napoli quando schianta 3-0 il Milan e poi 2-0 con l’Inter con i gol del tandem tutto sudamericano.
Alla nona giornata è già +3 in classifica, si passa imbattuti a Torino contro la Juve, con Crippa in gol e pareggio di Bonetti, con la prima sconfitta che arriva solo alla 17esima con un 3-0 subito dalla Lazio che porta a 2 i punti di vantaggio sull’Inter e 3 su Milan, Roma e Sampdoria.
Il torneo è entusiasmante, le pretendenti provano sempre ad avvicinare il primato in classifica senza mai superare gli azzurri. Alla giornata 24 però ecco la botta proveniente da San Siro, quando Massaro, Maldini e Van Basten regolano con 3-0 il Napoli di un Maradona che ormai si allena quando vuole, spesso presentandosi direttamente alla partita e ormai in un vortice di autodistruzione.
Nessuno sa però che in realtà il 10 sta preparando in maniera maniacale il Mondiale 1990 che resta il vero obiettivo nella testa di Diego. Se infatti il primo scudetto aveva avuto una sorta di “squadra simpatia” i modi al limite del giocatore argentino suscitano antipatia in tutti i campi.
Con la sconfitta con i rossoneri si assiste ad un binomio in vetta alla A, poi è fatale l’altra sfida a Milano quando l’Inter sconfigge 3-1 un Napoli orfano della sua stella che salta due partite e deve ringraziare Gianfranco Zola per la vittoria sul Genoa che mantiene la corsa scudetto aperta.
Non riesce ad approfittare il Napoli dello scivolone del Milan 3-0 contro la Juve perché pareggia solo 1-1 con il Lecce di Pasculli e tanto meno supera i rossoneri quando il derby parla nerazzurro con un sonoro 3-1 ma la Samp batte Maradona per 2-1. Siamo alla volata finale.
Alla 30esima il Napoli batte la Juventus per 3-1, poi va a sbattere a Bergamo sull’Atalanta, mentre il Milan impatta a Bologna. A Bergamo però, con la partita finita 0-0 Alemao viene colpito da una monetina e consigliato di restar a terra dal massaggiatore Carmando. Il giudice sportivo delibera il 2-0 per gli ospiti che ora raggiungono il Milan a 3 partite dalla fine.
Il campionato si decide alla penultima giornata, il Napoli vince 4-2 a Bologna con gol anche di Maradona ma è il Milan a cadere nella fatal Verona (ormai retrocessa dopo lo scudetto di 5 anni prima) con i gol di Sotomayor e Pellegrini. I rossoneri chiudono quella gara in 8 con le espulsioni di Rijkaard, Van Basten e Costacurta oltre che di Sacchi che contesta l’arbitraggio di Lo Bello di Siracusa.
Basta un gol di Baroni al 7’ contro la Lazio per chiudere il discorso scudetto al Napoli che trionfa con due punti sul Milan, zero sconfitte in casa dove vince 16 partite su 17. E’ l’ulteriore apoteosi, di una Serie A che vedrà il Milan vincere in Coppa Campioni, la Samp nella Coppa delle Coppe e la Juventus in Coppa Uefa. ma ora c’è un Mondiale da Notti Magiche. Maradona si prepara forte di una Serie a chiusa con 26 assist in 28 partite
Da campione d’Italia Diego si presenta lucidato a oro per Italia 90.
Oh mamma mamma mamma, sai perché innamorato son, ho visto Maradona! Ho visto Maradona!
Solo l’Italia è capace di pasticciare con qualsiasi cosa, trovar la soluzione e pasticciare ancora. Chi mai avrebbe pensato ad un’Argentina terza nel girone? E perché non metter la regola che la Nazionale avrebbe sempre e comunque giocato all’Olimpico nella magica atmosfera delle Notti Magiche?
Prima però della disfatta (per noi italiani) di una notte di Napoli l’Argentina passa a stento il girone, Maradona viene malmenato sistematicamente ad ogni partita e spesso si ritrova anche il tifo contro.
La sorpresa iniziale è quando un Camerun semi dilettantistico supera per 1-0 i campioni del mondo in carica, il gol di Oman Biyik è tuttora leggenda tra i Leoni Indomabili che chiudono la gara in 9 ma festanti sul prato di San Siro.
Il fato ci mette del suo, perché nella seconda partita l’estremo difensore titolare Pumpido si scontra col compagno Serrizuela mentre è in corso la sfida con l’Urss. Per il portiere frattura di tibia e perone e ingresso in campo di Sergio Goycochea, che dà li a poco diventerà San Goycochea, pronto a festeggiare il 2-0 sull’Unione Sovietica.
Il pari 1-1 con la Romania serve per classificare terza la squadra di Diego, con un lanciatissimo Camerun primo e la squadra di Lacatus al secondo posto.
Alle ore 17:00 del 24 giugno di un bel pomeriggio di Torino ecco subito l’ottavo di finale da sogno: Brasile contro Argentina. I Verdeoro malmenano Diego, colgono pali ma non affondano con Careca, poi, dal nulla, minuto 81, magia del Diez, lancio per Caniggia, dribbling sul portiere e gol decisivo per il passaggio del turno.
Il nuovo ostacolo per Diego è una nazione in preda a gravi dissidi interni e che nell’amichevole pre mondiale si è sentita fischiata in patria, è la Jugoslavia che da lì a 10 mesi vedrà deflagrare il suo intero territorio.
Purtroppo, non sapremo mai come sarebbe andata se…, sulla falsariga della vittoria di Bartali al Tour del 1948 che annullò l’ipotesi di guerra civile in Italia, un trofeo mondiale avrebbe annullato i conflitti interni.
La Jugoslavia dopo la scoppola iniziale contro la Germania Ovest reagisce, vince e fa vedere al mondo che può andar d’accordo tutta insieme, come l’abbraccio di Dragan Stojkovic, serbo, che dopo un gol abbraccia il c.t. Osim, bosniaco.
Tant’è ma ai rigori con gli argentini prima sbaglia Stojkovic, con Burruchaga che segna e porta in vantaggio i suoi. Prosinecki, altro talento immenso, accorcia le distanze, poi addirittura è un Maradona surclassato dai fischi a sbagliare e si pensa che il Dio del calcio voglia la pace, perché in seguito segna Savicevic e sbaglia Troglio.
Siamo sul baratro.
Brnovic però si fa parare da Goycoechea il possibile allungo, Dezotti pareggia e Hadzibegic fallisce il penalty decisivo, con la sua Jugoslavia che viene eliminata, con Osim che se ne va negli spogliatoi prima della lotteria dei rigori e che neanche decide i tiratori, tanto esagerata è la pressione su un conflitto interno pesantissimo. Diego in ogni caso è in semifinale.
L’incontro del destino è a Napoli, una Napoli che deve scegliere tra l’amore per la Nazionale e la reverenza per il proprio Dio.
Goycoechea è inespugnabile ai rigori, Maradona segna il suo e vede un San Paolo spaccato in due. Passa il turno ma è triste, avverte che qualcosa si è spezzato in maniera irrimediabile.
Non ce ne voglia Dieguito per i fischi in finale, ma è tutto frutto nel dolore dell’ aver spezzato l’atmosfera magica che oggi pare lontano un miglio. Nel giorno dell’eliminazione italiana qualcuno sibila: “Gliela faremo pagare”. E così sarà.
Disse di lui Gianni Brera: “Sgorbio irrecuperabile ma non appena lui si accende l’uranio quel goffo anatroccolo diventa cigno solenne, allora devi escluderlo dal genere umano e trovarli d’urgenza una specie differente. Sia dunque il re andino e in definitiva il re Puma”.
La finale con la Germania Ovest è classificata tra le più brutte tra le sfide decisive dei mondiali. La rabbia di Diego, all’inno nazionale quasi cancellato dai fischi dell’Olimpico è il presagio che presto le nubi oscure si addenseranno. Il 90/91 è ricordato per l’ultimo tango al San Paolo, con un Napoli che non ingrana, trova la prima vittoria solo alla quarta di campionato e in Coppa Campioni riesce a vincere la prima storica partita, contro i non irresistibili Ujpesti Dozsa con doppietta di Diego all’andata, vinta 3-0 e con 2-0 rifilato al ritorno.
Negli ottavi di finale lo scoglio non sembra particolarmente impossibile da superare, è lo Spartak Mosca che riesce ad uscire a reti inviolate da Napoli e poi sempre con uno 0-0 sposta la sfida ai rigori. A quella sfida in terra russa Maradona è arrivato noleggiando in extremis un aereo, perché ormai assuefatto dai demoni della cocaina non si sveglia in tempo e non viene convocato. La troppa tensione gioca un brutto scherzo ai suoi compagni che sbagliano il rigore che li elimina proprio con quel Marco Baroni che aveva segnato il gol decisivo con la Lazio quattro mesi prima.
L’unica gioia di Diego nella seconda parte del 1990 è il 1 settembre, quando nella finale di Supercoppa Italiana il Napoli schianta 5-1 la Juventus di Baggio e Schillaci. Sembra la base per una nuova annata da sogno ma in realtà non sarà così.
La Serie A diventa un breve pellegrinaggio da qui alla prossima bravata di Maradona, che, ingrassato, dimostra che quando ha voglia è ancora un genio, ma alla distanza perde il sorriso. Il Napoli viaggia lontanissimo dal ritmo inferto dalla Sampdoria che proprio contro gli azzurri vince 4-1 in casa nello show di Vialli e Mancini.
In un Pisa-Napoli del 17 febbraio 1991 compie il passaggio di consegne all’erede Gianfranco Zola facendo giocare il sardo con il 10 e lui, prima e unica volta in Italia e forse in carriera, col 9.
Segna 6 gol nell’ultimo campionato ma tutti su rigore, l’ultimo realizzato con la Samp il 24 marzo 1991, guarda caso la sua prima vittima da quando è in Italia diventa anche l’ultima.
Il 17 marzo, sette giorni prima dell’ultimo gol, è l’antidoping a chiudere la parabola del Diego sommo calciatore,
Ne è passato di tempo da quando il Clarin sbagliava il nome in Caradona e di quando 6 giocatori del Belgio, immortalati in una foto, cercano di imbrigliare Diego. Restano i ricordi, di come Il Dio Calcio blocchi il San Paolo con la presenza alla gara d’addio di Ciro Ferrara o di come, nel 1994, ci sia l’ennesima resurrezione nel mondiale statunitense, prima dell’ennesima ricaduta.
Con la fine della squalifica, nel 1992, teoricamente Maradona ha ancora un anno di contratto col Napoli ma accetta la corte di Biliardo nel Siviglia di Simeone e Suker, segnando 5 gol in 26 partite ma avventura chiusa subito a giugno dopo che lo fanno scendere in campo contro il Burgos controvoglia e con 3 infiltrazioni, decidendo così di riabbracciare la sua Argentina con Newell’s e Boca Juniors dopo la squalifica di Usa ’94. Nella storia Xeneizes è sua la staffetta con un altro erede, Juan Roman Riquelme, che gli subentra in un Superclasico vinto in rimonta.
“Diego era il sogno che giocava a calcio”
188 partite e 81 reti sono pietra miliare di un’epoca che forse la Serie A non rivedrà mai più. Stranieri fortissimi, fuoriclasse in quello che ai tempi era per distacco il torneo più bello del mondo. Quando Diego in quel 1991 si presenta all’antidoping, divenuto obbligatorio da poche settimane, è senza titubanze, sicuro o forse sollevato che la sua avventura è al termine. La partita col Bari è stata insufficiente come gli accade da parecchio tempo. Il sorriso inseguendo il pallone è spento. Cocaina e metaboliti nelle urine, ma i metaboliti, spiegano gli esperti, dimostrano che la sostanza è stata presa molto tempo prima della partita. Quel 2 aprile scappa quasi fosse il peggior criminale, ma in realtà ha fatto male solo a sé stesso e mai a chi gli stava intorno.
No, Maradona non è mai esistito.
Ed invece sì, Maradona ora esiste più che mai. Possiamo scommettere che abbia scelto il luogo lassù dove ci son più scale per arrivare tra le nuvole. Le avrà superate palleggiando, magari scommettendo con qualche santo che luì può essere angelo o diavolo, ma che nessuno tratta meglio di lui la palla. Ha fatto gol impossibili rendendo il calcio una scienza imperfetta.
Imperfetta come Diego, unico e sublime Diego, mito al secolo immortale DiegoArmandoMaradona.
“Che Maradona fosse un genio, nessun dubbio è possibile e che i geni siano un tantino squinternati di cerebro, è risaputo e ammesso da sempre”.
Olè, olè, olè, Diegooo, Diegoo! Olé, olé, olé, Diegooo Diegoo!
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