Difficile non emozionarsi per il titolo di Francesco Bagnaia, campione della classe MotoGp in sella all’italianissima Ducati.
Poteva esserci ansia nell’ultimo gran premio di Valencia, ma quel +23 era una bella assicurazione in banca. Certo, nostalgici, gufi e tifosi rossi ricordavano cosa capitò in quel 2006, quando proprio sul circuito spagnolo fu niente meno che Valentino Rossi a gettare alle ortiche un mondiale ormai vinto, in favore del povero Nicky Hayden che ora corre con gli angeli.
Bagnaia però non è Rossi, neanche Biaggi o Agostini, o ancora Dovizioso e Petrucci, ultimi due che lo hanno preceduto col missile rosso. Di Pecco, quasi fosse un difetto, è difficile parlarne male o arrabbiarsi, perché ha nei modi un aplomb che questo weekend ci ha spiegato parta tutto dalla classe del nonno (cercate su Sky le interviste, Pecco ha un nonno capolavoro).
Ad un tratto, anche nei festeggiamenti, è parso che il titolo MotoGp era più sogno Ducati che di Francesco, uomini che sono esplosi di gioia a rimarcare un decennio in cui ci son state più parole che trionfi.
Dall’Igna, Tardozzi, Domenicali, Pirro (e scusate se dimentico qualcuno), parti di una scuola italiana che ha messo la freccia sul Giappone da due anni a questa parte, con una Honda e una Yamaha fatta su misura solo per un pilota, con Marquez e Quartararo a far sembrare bolliti Lorenzo (chissà che ha provato il povero Jorge, parte integrante del cambio di mentalità rosso e umiliato come compagno di Marc), Morbidelli, Dovizioso, Vinales e anche Valentino Rossi, mentre con la Ducati volavano oltre a Bagnaia, sette volte, anche il “silenzioso e pacato” Jack Miller (voto 10 per i festeggiamenti), la sorpresona stagionale Enea Bastianini (al varco per il 2023, promette veramente scintille), il re delle pole Jorge Martin per una moto che oltre ad essere il capolavoro della griglia si è distinta per essere la più malleabile e adattabile a qualsiasi stile di guida, una cosa che non sembra vera visto il missile rosso che è storicamente.
Che ci lascia questa MotoGp 2022?
Una classe di piloti di altri tempi, lontani da risse o toni altissimi nelle conferenze. Quartararo (voto 10) si è distinto per essere un grande campione ma anche un grande uomo, forse naufragato sul più bello per i pasticci che Yamaha, come scritto concentrata su lui, ha iniziato a commettere dalla seconda parte di campionato, quando forse la distrazione da quasi campioni del mondo ha sottovalutato i progressi di Borgo Panigale.
Ci lascia un’Aprilia che deve essere soddisfatta per quello che è diventata, ora una moto da top class e non il fanalino di coda di tanti anni fa, un made in Italy che viene apprezzato e a cui ora manca solo uno step in più per diventare la degna rivale della Ducati, in un derby che non piacerebbe alle case costruttrici nipponiche.
Ci lascia un Marquez ritornato martello e kamikaze, con la speranza di rivederlo al 100% da subito per vedere le scintille tra vecchia e nuova guardia.
Ci lascia un grande, immenso, applauso al team di Fausto Gresini che con Enea Bastianini si gode un terzo posto e che lascia crescere il proprio pupillo verso la squadra ufficiale.
Ci lascia una stagione spettacolare, una rimonta clamorosa di Pecco che dal -91 della caduta in Germania veniva preso in giro per esser più sulla ghiaia che in pista, salvo poi, ieri, darci l’ennesima lezione: “Le parole se le porta via il vento, conta esser campione del mondo poi tutto si dimentica“.
Grazie Pecco, grazie Ducati, è stato un capolavoro rosso!