Difficile trovare in Italia, ma forse anche nel mondo, una squadra che nella sua storia ha la capacità di vincere, distruggersi, risalire e poi ricadere. Questa è la storia dell’Inter tra lo scudetto 18 e 19, un lasso di tempo che pare un’eternità e dove è successo praticamente di tutto.
Partiamo dall’Interismo, fenomeno/malattia che non fa mai godere del tutto un successo, come ad esempio nella semifinale di Champions (anno sacro 2010) fa infuriare più un Balotelli che getta la maglia nerazzurra per terra che non l’esaltazione di un 3-1 rifilato ai marziani del Barcellona.
E successivamente le lacrime del 22 maggio 2010, quando neanche assaporato del tutto il gusto di essere in cima all’Europa che Diego Milito, intervistato a caldo, dice: “Non so se resto” e a ruota arriva Mourinho che sa già che andrà al Real Madrid e che il Bernabeu colorato a trionfo sarà la sua nuova casa.
La discesa agli inferi dell’Inter è rapidissima. Con varie perle di saggezza.
Appena salutato Mourinho, che post Inter collezionerà più esoneri che trofei, arriva Rafa Benitez, tecnico dal viso simpatico che come prima cosa fa togliere i poster del tecnico portoghese noto come Special One. Non proprio una cosa geniale per colpire il tifoso nerazzurro.
Benitez fa in tempo a perdere la Supercoppa Europea contro l’Atletico Madrid di Diego Forlan, pantegana bionda che da lì a poco vestirà il nerazzurro, ma anche di Aguero e del povero José Antonio Reyes, che con un 2-0 danno il benvenuto a Rafa.
Il campionato non dovrebbe essere così complicato da rivincere, ma l’Inter non fa i conti col Milan che si affida a Max Allegri ma soprattutto fa tornare in A Zlatan Ibrahimovic, quello del passaggio al Barcellona per vincere la Champions, ma anche quello della doppietta sotto il diluvio del Tardini per lo scudetto di Mancini. Ibra non si può odiare, unico nel suo genere.
Ma ritorniamo al nerazzurro, Benitez gioca con i campioni ormai spremuti dal biennio Mourinhano, vince il Mondiale per Club, non fa disputare neanche un minuto al totem Materazzi, chiede più acquisti nel dopo partita.
Benitez è esonerato in tempo zero. Altro successo che viene gustato un niente.
La mossa a sorpresa di Moratti è affidare la squadra al teologo Leonardo, che carica la squadra nei momenti importanti e in pochi giorni perde derby e in Champions ne prende 5 dal non irresistibile e oggi retrocesso Schalke 04.
Si rifarà Leonardo con la Coppa Italia del 2011, ultimo trionfo nerazzurro.
Con l’Inter in preda a nevrotiche scelte societarie, all’epoca Oriali cacciato e con Branca e Ausilio di poco aiuto per la presidenza ecco che una squadra che ha vinto tutto con la difesa a 4 chiama un tecnico che gioca sempre a 3 dietro e che dura la bellezza di 4 partite e che oggi è stato il principale antagonista (guardando la classifica) proprio dei nerazzurri: Gian Piero Gasperini.
Da Gasperini si arriva a Claudio Ranieri, uno che diventa immortale a Leicester ma che si ritrova a guidare i vari Jonathan, Ricky Maravilla Alvarez e Maurito Zarate, perde malamente a Torino contro la Juve quando il suo presidente fa visita all’Inter Primavera che vince la Next Generation Cup 2011-12 con Longo, Bessa e Livaja. E’ allenata dal giovane Andrea Stramaccioni che in premio si ritrova la panchina della Serie A.
L’impatto Stramaccioni-Inter in Serie A ha l’apice nel derby vinto per 4-2 che consegna lo scudetto alla Juve di Antonio Conte, personaggio che si riprenderà 10 anni dopo il trono del pianeta del Biscione.
Ma siamo ancora lontani anni luce, l’Inter ha come unica gioia dare alla Juve la prima sconfitta allo Stadium, con un 3-1 che illude il tifoso, con Stramaccioni che in quel momento è a – 1 dai bianconeri. Dall’estate precedente vanno via Julio Cesar e Maicon, il Triplete è un ricordo sbiadito.
Poi le perde tutte. Non tutte ma quasi. La rosa vede “fenomeni” come Schelotto, l’allegria di Kovacic, Carrizo, Rocchi e a gennaio, visto che non sanno che farsene, si cede Coutinho al Liverpool per 10 milioni.
Non andate a vedere per quanto denaro Coutinho passerà al Barcellona.
L’Inter di Strama vince una sola delle ultime 9 partite dove chiunque l’affronti fa strage. Si cambia ancora, via il giovane tecnico, dentro Walterone Mazzarri, l’uomo della pioggia, nel senso che si perde perché a Verona il temporale colpisce solo i suoi, mica la squadra avversaria.
In nerazzurro però c’è anche un nome nuovo che seminerà il panico, si chiama Erick Thohir ed è il nuovo presidente dell’Inter. Appena s’insedierà dirà che il suo idolo di tutti i tempi è Nicola Ventola.
Bene, ma non benissimo.
L’approdo di Mazzarri comporta le cessioni del nano Gargano, di Silvestre e di Cassano, per acquistare Campagnaro, Rolando, Taider, Belfodil e Icardi.
Inutili i primi 4, solo Mauro Icardi terrà botta in nerazzurro.
Sarà la stagione del ritorno in campo di Zanetti dopo la rottura del tendine d’Achille ma anche quella del crociato che salta a Diego Milito, con Mazzarri che fa record di pareggi e che manda in pensione quel che resta del Triplete: a fine stagione salutano capitan Zanetti, Samuel, Cambiasso e Milito.
Tutto in un botto.
C’è sempre peggio al peggio, San Siro ammira Alvaro Pereira, Kuzmanovic, Nagatomo e Hernanes, acquistato con un prestito in favore del presidente Thohir, che presta i soldini alla sua Inter e poi se li riprende con gli interessi.
Unica gioia il gol dell’eterno Palacio al Milan.
In ogni caso Mazzarri è confermato anche per il 2014/15 perché non è del tutto chiaro il masochismo nerazzurro. Arriva il colpo Vidic a parametro zero, grande difensore centrale che appena sa che l’Inter gioca a 3 dietro quasi ha un infarto. L’ex capitano dello United non inciderà e avrà anzi un grave infortunio.
Arrivano anche Dodò, Medel, M’Vila e Osvaldo.
Durante la pausa di novembre Mazzarri riceve il benservito da Thohir, ritorna il figliol prodigo Mancini, quello del primo ciclo pre Mourinho, quello dei trionfi in HD.
In inverno si assistono a scene da urlo per gli arrivi di Shaqiri e Podolski e le maledizioni al portiere Carrizo nel disastro della doppia sfida contro il Wolfsburg in Europa.
Arriva in nerazzurro anche un tale che si presenta con ciuffo biondo e faccia non troppo sveglissima: Marcelo Brozovic.
Neanche il Mancio però fa miracoli e capisce che l’era Moratti è lontana anni luce.
Illude però il popolo interista ritrovando la vetta della classifica con una difesa che si basa su Murillo e Miranda, le folate di Perisic e i lampi del duo Jovetic e Ljajic. Fino a Natale tutto va bene, si chiude in testa l’anno poi è di nuovo caduta libera cui non basta l’arrivo di Eder, fin lì letale con la Sampdoria.
E’ anche l’Inter del colpo Kondogbia, un giocatore che pare sbucato dalla moviola di Carlo Sassi per lentezza e disastri a centrocampo.
A fine anno nuovo colpo di scena, Thohir, quello capace di dormire durante un Inter-Juve cede la proprietà al colosso Suning Holdings Group.
Neanche il tempo di godere della nuova proprietà che già ci litiga Mancini che lascia la squadra in piena estate e con la stagione pronta a partire ecco Frankino de Boer, uno che si sforza di parlare in italiano ma che fa solo disastri. Batte la Juve, almeno quello, ma poi scrive altre pagine da dimenticare come le sconfitte col Beer Sheva e Slavia Praga.
Giusto per non dimenticare, ecco gli innesti di Gabigol e Joao Mario, di Banega e Candreva.
La terza maglia fa somigliare l’Inter ad una Sprite ma zero bollicine e neanche San Pioli (si, proprio lui) fa miracoli dopo l’ennesimo ribaltone in panca.
Altro campionato, altra storia, arriva Luciano da Certaldo, al secolo Spalletti che, dopo i fischi per l’addio al calcio di Francesco Totti sceglie, dopo la Roma, un pianeta tranquillo: l’Inter.
Ad inizio dicembre si ritorna in cima alla classifica, in una squadra che vede l’approdo di Milan Skriniar e di Joao Cancelo ma ancora una volta con l’anno nuovo ecco l’ennesima discesa agli inferi, a gennaio si smette di vincere, quando poi una Juve già super campione batte in rimonta i nerazzurri ecco il solito isterismo da interismo, si perde la gara cruciale in casa col Sassuolo poi si ottiene il quarto posto in una gara da infarto a Roma contro la Lazio, quando Icardi e Vecino ribaltano una sfida che da 2-1 finisce 2-3.
Lucianone però è sempre polemico. Ritornare in Champions dopo 7 anni fa acquistare De Vrij a parametro zero, Nainggolan a centrocampo (per uno scambio intelligente con Zaniolo, apriti cielo), e in attacco Lautaro Martinez.
In dirigenza c’è l’addio a Walter Sabatini, (mai ben capito che facesse), per l’arrivo tra lo stupore di Beppe Marotta, inizialmente poco amato per il suo passato bianconero e per una presenza che pare sia deleteria e non migliorativa. Invece aveva ragione lui.
Il campionato parte con una sconfitta contro il Sassuolo, giusto per far partire l’ennesimo rosario da 38 partite, si perde malamente ma si vince pure di gusto, come il gol di Icardi al 92′ contro il Milan, col derby che è vinto anche al ritorno per 3-2.
La Champions arriva solo all’ultima giornata con un gol di Nainggolan al minuto 81 contro l’Empoli, giusto per gli ultimi infarti stagionali.
L’avventura Champions termina ai gironi contro Barcellona, Tottenham e Psv, mentre in Europa League è l’Eintracht Francoforte con Jovic a eliminare i nerazzurri.
E’ la stagione in cui si assiste al teatrino Icardi, tra infortuni veri o presunti e una presenza femminile al fianco del giocatore troppo ingombrante.
A fine anno si cambia tutto e per tornare serve il meglio e il meglio attuale si chiama Antonio Conte.
Certo, fa senso che il capitano e allenatore della sportivamente odiata Juve deve diventare il primo condottiero in nerazzurro, ma la storia insegna che anche da Juve a Inter i trionfi arrivano, come Trapattoni primo esempio a dettar legge.
Conte ci mette due anni a far conquistare lo scudetto all’Inter, dall’insistenza per scaricare Icardi e far approdare Romelu Lukaku, uno definito grasso e scarso, scaricato dallo United per 65 milioni più 13 di bonus e oggi super capocannoniere nerazzurro in una squadra che trova in Bastoni il muro del futuro che va a completare Skriniar e De Vrij, poi i polmoni di Barella che sembra un angioletto da fuori e poi è terminator in campo, arrivando poi all’incognita Eriksen che pare destinato alla cessione, non trova acquirenti che lo pagano tanto, causa nefasta minusvalenza e poi come un’artista pennella la punizione decisiva per sé e per l’Inter contro il Milan in coppa Italia.
Il resto è storia di oggi, con l’Inter che deve godere per questo scudetto e non cadere negli errori del passato cancellando quanto di buono è stato fatto dopo i disastri tra il trionfo 2010 e 2021.
Forse questo elenco di disastri nerazzurri avrà fatto ritornar il mal di pancia a tanti tifosi ma avrà anche fatto capire che la gioia per il trionfo oggi è più che mai meritata.
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