Ci sono percorsi del destino che sembrano inimmaginabili. Senza l’infortunio di Fogarty non avremmo avuto un Troy Bayliss in superbike.
Mettere da parte una leggenda per un carrozziere?
“Signor Bayliss, mi spiace, ma qua dobbiamo amputare il mignolo”
“Mmm, ok, ma possiamo fare in fretta? Taglia sto c…. di dito, avrei gara 2 da correre!”
E’ probabile che quel medico che cura Troy per l’incidente a Donington sia svenuto dallo stupore.
I piloti non hanno mai ammesso di essere persone normali, in questo Bayliss ne è l’esagerazione.
Ma andiamo con ordine.
La passione, senza soldi, è abbastanza complicata da seguire. La passione di Troy è la velocità, poco importa se sia una bici o una moto, perché eccelle in entrambe le cose.
Bayliss guida al prima moto a 10 anni, grazie soprattutto a papà Warren che lo porta in pista e vede le vittorie del figlio nel cross e nel dirt track. Dicevamo della velocità, il vero amore dell’australiano è il ciclismo, dove raggiunge discreti successi come dilettante.
Soldi però ce ne son pochi e Troy trova lavoro come carrozziere, ristruttura automobili e motociclette, recandosi in officina sempre con l’immancabile bici.
Una vetrina però lo acceca, all’interno c’è una scintillante Kawasaki ZXR 750 di un verde particolare, quello che attira lo sguardo dagli occhi blu.
A 14 anni, con i risparmi messi da parte, Troy si decide e acquista una moto e inizia per sfizio a correre anche in pista, ma non con l’idea di diventare professionista ma per un “Come viene…viene!” motto che Bayliss avrà per l’intera carriera.
“Come carrozziere aggiungevo lo stucco nelle parti da riparare e dove le auto presentavano buchi – dice Troy a Motosprint – poi grattavo la vernice vecchia con la carta abrasiva e in seguito toglievo la polvere. Me la cavavo benone, a ripensarci mi divertivo pure“.
Inizia molto tardi rispetto ad altri piloti, a 23 anni nel 1992 è proprio la Kawasaki ZXR 750 a vederlo in pista, sotto lo sguardo di Kim, sua moglie e preziosa alleata, però nasce da subito un bel problema.
Troy vince, Troy si diverte.
Il suo stile si fa notare come il suo sorriso perennemente stampato in faccia, s’iscrive al campionato nazionale visto che ha spese contenute e i buoni risultati fanno da carica emotiva.
Gli prestano una Kawasaki 250 e vince anche in quella categoria guadagnando l’accesso per il campionato nazionale dell’anno successivo, poi Supersport e nel 96 è tra i top rider della sua nazione.
Nel 1997 lascia la Kawasaki per la Suzuki e sfiora il titolo nazionale, poi come tutti i bei sogni, arriva la telefonata che gli cambia la vita.
“Ciao Troy, sono il responsabile del Team Suzuki Ansett Air Freight, hai da fare nel weekend? Perché dovresti prendere tuta e casco, andiamo a Phillip Island per la gara di Superbike”.
Troy resta basito, il cuore pompa a mille, si va a sfidare i giganti della Sbk.
La sua Gsx-R fa subito una vittima illustre, il campione di quella annata John Kocinski si prende un bel sorpasso all’esterno nello scivoloso curvone in contropendenza del bellissimo circuito mondiale, col pensiero dell’americano che sbotta dalla sua splendida RC45 “Ma è scemo questo qui? Una wild card impazzita?”. Arriva quinto in gara 1 e in gara 2 partendo 12esimo e osservando da vicino i vincitori di quelle manche, il già citato Kocinski e Aaron Slight.
Troy ha 28 anni e finalmente tocca con mano il suo sogno. Ora è vietato mettersi limiti.
Stessa stagione, altra telefonata.
“Ciao Troy che fai? Senti…prendi tuta e casco e porta le chiappe in pista, ci aspetta il Mondiale 250”.
Bayliss non crede a quelle parole, ora, dopo la superbike potrà sfidare gli assi della 250.
La RGV 250 che lo aspetta è una massa di fortunosi rattoppi del Team Molenaar. Biaggi e Waldmann sono di un altro pianeta ma quella moto numero 30 vola, con un australiano scatenato, perde in volata il podio ma Troy si prende la soddisfazione di battere l’Aprilia ufficiale di Perugini.
“Leggere l’ordine di arrivo delle due wild card disputate a Phillip Island nel 1997 fu incredibile per me!”
Alla porta di Bayliss bussa una casa motoristica di fascino incredibile, è la Ducati, che gli offre un posto per il campionato britannico, con conseguente arrivederci alle spiagge della sua amata Taree per il gelo e la pioggia inglese.
Con il bicilindrico desmodromico è amore immediato, Bayliss non conosce le piste, odia il clima, rimpiange il suo mare ma si tuffa a capofitto sul progetto, è ottavo il primo anno, poi nel 1999 non concede nulla agli avversari, diventa il primo pilota non britannico a vincere il campionato, prendendosi il triplo trono di Mackenzie con 7 vittorie, 6 podi in 24 gare.
La Ducati lo osserva con orgoglio, poi il destino bussa e quando a certe cose non sai dare una spiegazione ecco che il tempo ti aiuta e capisci in un secondo momento.
La Superbike di fine anni 90 ha un suo re, si chiama Carl Fogarty, occhi di ghiaccio, sguardo da cattivo che nasconde una timidezza che lo fa sembrare scontroso. Ha vinto già 4 titoli ed è il cavaliere rosso della Ducati vincitutto.
Fogarty è uno che in pista fa andare veloce qualsiasi cosa, è un leone che non accetta l’esistenza di rivali, nella stagione del 2000 la Ducati 996 non ingrana, a Kyalami Carl è terzo nella prima manche poi cade in gara 2, ma è il round successivo a far nascere il dramma, o una favola, dipende da che parte si guardi il destino.
Foggy arriva 2° in gara 1 a Phillip Island (toh, il destino, l’Australia e quel circuito), ma in gara 2 colpisce il posteriore del privato Robert Ulm, incidente inspiegabile, con l’inglese che resta a terra immobile.
Per Fogarty rottura della sezione del braccio sinistro che incontra la spalla, lesioni tendinee e muscolari, oltre all’interessamento dei nervi. In parole povere: carriera finita a 35 anni.
La Ducati è nel caos, manca il numero uno, con chi lo si può sostituire?
Contemporaneamente, dalla parte opposta del pianeta,a Daytona nei test c’è un missile che segna il miglior tempo, è Troy Bayliss che sul banking americano salta a 250 km/h ma scivola inseguendo Mladin.
Paolo Ciabatti, scopritore del talento di Taree, fa il suo nome nella riunione con Tardozzi e Domenicali, il gran premio del Giappone a Sugo può essere un trampolino per Troy.
Perfetto, “Troy, hai programmi nel weekend? Muoviti in pista a sostituire Fogarty”.
Bayliss cade dalle nuvole, è già in viaggio verso la sua Australia quando deve deviare per la terra nipponica.
Unico problema, la tuta da corsa è negli Usa, ma fortuna volle che la taglia di Fogarty gli calza a pennello.
E’ una fiaba.
Bayliss corre le due manche di Sugo.
Bayliss cade alla prima curva di entrambe.
I meccanici però in tanto disastro restano colpiti dai modi di fare di Troy, che dapprima chiede scusa a tutti e poi si dimostra di una umanità e una simpatia contagiosa, in un ambiente abituato ai silenzi glaciali di Fogarty è una ventata di novità.
Bayliss però viene bocciato immediatamente, la Ducati 996 a Donington verrà affidata a Luca Cadalora, tre titoli mondiali tra 125 e 250, vittorioso in terra inglese anche in 500 e ora test rider a Borgo Panigale.
Grazie Luca.
Il pilota italiano finisce nel pantano della Ducati post Foggy, ritirato in gara 1, 17esimo nella seconda manche e all’orizzonte stava arrivando Monza.
La triade della Ducati s’interroga, naufragare a Monza con un pilota importante come Cadalora sarebbe un suicidio, Ben Bostrom mal si adatta ai circuiti nuovi, Bayliss è stato disastroso.
Però anche simpatico.
“Senti Troy, vuoi correre a Monza?”
Chi si aspetta entusiasmo coglie solo una risposta risentita. Bayliss c’è rimasto male per la bocciatura e oltretutto Donington lo conosceva, avrebbe potuto far bene. Ma il richiamo della Ducati è irresistibile.
L’inizio del Mito.
In un paddock orfano di Fogarty l’ammirazione è tutta per quella moto numero 21 che arriva quarto dopo Chili, Edwards e Yanagawa, precedendo Slight partito 16esimo.
Gara 2, 23 aprile 2000, consegna agli annali il colpo di fulmine tra Bayliss, Ducati e Superbike.
Dopo la parabolica ci sono 5 moto tutte in scia, Bayliss è quarto ma quando si arriva alla staccata della prima variante arriva il boato dello storico telecronista Giovanni Di Pillo, solo poche parole “Bayliss…Bayliss…Bayyyyylisssssss”, l’australiano fa un incredibile staccata e da quarto si ritrova primo, Monza non crede ai propri occhi accecata da una magia degna di Fogarty.
La gara per l’australiano si concluderà al quarto posto sempre in volata ma non importa a nessuno, il mondo Ducati ha trovato un nuovo idolo e ai box Troy trova un contratto pronto per essere firmato, da qui a fine stagione, con o senza Fogarty, lui sarà uomo Ducati.
“Non pensavo di essere lì per provare a far dimenticare Carl. Lui era un campione, un mito. Io ero un australiano in cerca di luce, sull’onda giusta da cavalcare. Occorre avere tanta fiducia nei propri mezzi e credere nelle persone. La lontananza dalla propria terra va affrontata con il sorriso, se si vuole fare questo mestiere, il pilota. Mica lascio le spiagge di Taree per caso!”
Potere dell’investitura rossa fanno di Bayliss un nuovo tornado. Hockenheim, round successivo e tempio della velocità, battezza la prima vittoria con appena 202 millesimi su Yanagawa, e di botto sgorgano lacrime ai box di Borgo Panigale, la tristezza, la frustrazione dell’aver perso un numero uno ora ha un perché, ne hanno trovato un altro, forse non bravo come il primo, ma per la miseria che manico che ha al polso destro.
Bayliss sorride sempre, il 2001 si apre con lui mina vagante, quattro secondi posti di fila, testa del mondiale, manche disastrose in Giappone poi doppietta a Monza, la “sua” Monza, tripudio e vittoria del primo mondiale con 369 punti, 6 gare conquistate e Colin Edwards detronizzato, con la 996 15 volte sul podio e, già campione del mondo a Imola, ultima gara, va a sbattere in bagarre con Laconi, rompendosi la clavicola e facendo capire, ancora una volta, che Troy è o tutto o niente, campione del mondo a 31 anni.
Il 2002 è la stagione più prolifica per Bayliss che nella sua testa ha pianificato un triennale in Superbike, due titoli e poi stop, perché non si vede per nulla in sella ad una moto per il resto degli anni.
Si sbaglierà.
Dicevamo del 2002, la 998 F 02 è un missile guidato dal suo supereroe, primi sei appuntamenti e altrettante vittorie per Bayliss che pare inarrestabile.
Solo l’indigesta pista di Sugo blocca la gloriosa successione di conquiste, ma si riprende a salire sul primo gradino del podio a Monza, poi Silverstone, Lausitz, Misano e Laguna Seca, in gara 1, in totale 17 vittorie nei primi 19 appuntamenti.
Poi il buio.
Bayliss cade a Laguna Seca facendosi male alla schiena, poi 2 vertebre rotte a Brands Hatch.
Incredibilmente da Laguna Seca la Honda dà a Colin Edwards un nuovo prototipo e la Honda, sotto di 50 punti in classifica, col texano inizia a vincere e rimontare, fino a godere della caduta di Bayliss ad Assen, quando s’intestardisce contro Hodgson, suo futuro successore, cade e perde punti preziosi.
Talmente preziosi che ad Imola si arriva con Edwards che ha un punto di vantaggio su Bayliss nell’ultimo appuntamento.
Il circuito del Santerno vede una marea di gente non prevista, sono più di 100.000 i tifosi che vogliono vedere l’ultima sfida di due piloti destinati alla Motogp e i due regalano una battaglia che entra di diritto nella storia della competizione, con la Tosa impazzita nel vedere Bayliss e Edwards che se le danno di santa ragione, con l’americano del Team Castrol a guidare in maniera sublime la sua Honda gommata Michelin e l’australiano sempre al limite, sempre con una moto cattiva e, purtroppo per i suoi tifosi, sempre secondo.
Il titolo va a Colin che vince 9 gare consecutivamente, ma è Troy a dimostrarsi campione nell’essere battuto, sorridendo ed esultando per aver dato tutto. Anzi, alla festa del texano è onnipresente e ben accomodante a qualsiasi birra in compagnia.
“Diedi tutto. Edwards fu molto bravo. Ci rimasi male per la Ducati e per il pubblico accorso a Imola. Meritavano di più“.
La sua testa è già alla Motogp e questo lo limita nell’obiettivo mondiale.
Il debutto nella classe regina del mondo delle due ruote è più complicato del previsto. Inizialmente pare il contrario, col primo podio della storia della Ducati a Jerez e l’inseguimento in classifica a Rossi e Biaggi. Al suo primo traguardo in Motogp chiede quando si correrà gara 2, non sapendo dei regolamenti completamente diversi rispetto al suo mondo Sbk.
Non va male Bayliss ma neanche bene, questione di fiducia, con i suoi uomini ancora in Superbike e una moto che vince con Capirossi ma che non lascia il segno.
La seconda stagione, 2004, va anche peggio. La Ducati sbaglia il progetto e Bayliss si ritrova in prova distaccato anche di 3 secondi, uno sfregio per chi sa di non essere un brocco. In un clima di distacco arriva l’addio per la Honda Camel ma con la livrea gialla l’australiano proprio non si trova e nel 2005 un infortunio in motocross gli manda ko il polso e i sogni del motomondiale.
Arriva così l’ennesima chiamata dal pianeta rosso, c’è una Ducati 999 da domare per il 2006.
L’esordio in Qatar regala a Bayliss due secondi posti e la testa della classifica, che, nessuno lo sa, ma in quell’annata non mollerà mai. La prima vittoria arriva in gara 2 ovviamente a Phillip Island ed una volta rotto il ghiaccio ecco le affermazioni di Valencia, Monza e Silverstone, tre doppiette con vittoria anche a Misano in gara 1 prima che Andrew Pitt fermi la striscia positiva che vede altre conquiste, Brands Hatch e Assen, prima di diventare campione per la seconda volta.
Dove?
Imola naturalmente, chiudendo quello che non era riuscito a fare nel 2002 si presenta sul Santerno vincendo gara 2 e colorandosi dell’iride dei campioni del mondo di ciclismo (si narra di sfide epocali con Bettini a Montecarlo, tenendogli sempre testa). “Festeggiare il secondo campionato a Imola mi tolse la delusione vissuta quattro anni prima. Il primo titolo rappresentò un premio agli sforzi compiuti, il secondo una piacevole conferma“.
A questo punto la Ducati opta per un regalo particolare. Vada Bayliss a sostituire l’acciaccato Gibernau in Motogp e poco importa se le prende, tanto è campione del mondo.
Non solo non le prende, ma le dà, “Baylisstic” domina a Valencia e vince il gran premio che vede la scivolata di Rossi e il trionfo di Nicky Hayden, fa esultare il mondo superbike che da sempre si sente inferiore alla massima categoria ma quel giorno vede il proprio cavaliere suonarle a tutti. Bayliss aveva chiesto a se solo i suoi uomini di fiducia, Tardozzi, Marinelli e Ciabatti, poi il resto lo fa il talento.
Ecco perché Bayliss è perfetto nella tuta con i colori di Superman (Brands Hatch 2006).
“A Valencia mi sono tolto qualche sassolino dallo stivale, giusto qualcuno…”
Smisurato, unico, allegro.
La stagione 2007 si apre con Bayliss uomo da battere ma il primo round in Qatar è deludente, con un quinto e ottavo posto con la 999 F07.
Tra le novità c’è l’esordio nella categoria delle derivate di serie di Max Biaggi, che dopo esser stato estromesso in malo modo dalla Motogp approda alla Suzuki Gsx del team Alstare Corona Extra.
Dopo il romano si mette in luce anche James Toseland sul mossile che gli fornisce la Honda ma la seconda prova di campionato in Australia, sul trono del Re di Phillip Island, vede il rientro alla vittoria di Bayliss in gara 1 e un secondo posto in gara 2.
A Donington però, il 1 aprile, uno scherzo del destino ferma Troy. In gara 1 dopo 5 giri il poleman Bayliss cade rovinosamente quando è in testa, una scivolata che all’apparenza sembra innocua si rivela molto grave. Il pilota australiano resta in ginocchio sulla via di fuga, tenendosi la mano destra.
Taglia sto c…. di dito!
Se lo schiacciamento all’inguine era meno grave del previsto, Troy viene trasportato d’urgenza al Derbishire Royal Infermery dove i medici visionano una situazione di estrema complessità.
Il discorso, immaginario, va più o meno così.
“Senta Bayliss, la situazione è drammatica, le dobbiamo amputare il mignolo destro“.
“Ok, senta dottore, può tagliare sto cazzo di dito che devo correre gara 2?“. La risposta dell’australiano è proprio questa, con i dottori che pensano che Troy abbia anche sbattuto la testa per dire così, in realtà i piloti non sono persone umane, hanno un loro mondo di follia e quel cavaliere del vento vuole tornare al più presto.
“Alla fine a che mi serve il mignolo in moto, rivoglio la mia bella 999“, ma Troy non riesce ad avere l’ok medico per correre gara 2. Poco male, 15 giorni di riposo e pole position in Spagna a Valencia, con la vittoria che arriva nel round successivo ad Assen.
La classifica per il mondiale è però compromessa perché Toseland si rivela più costante, nonostante una tripla vittoria tra Silverstone e Misano, rese vane da round disastrosi a Brno e Brands Hatch.
L’amore per Troy si dimostra immenso a Vallelunga, dove, nel circuito romano, si prende la pole, poi si arrende al pilota di casa che ha una marcia in più in gara 1, Max Biaggi, ma fa sua la vittoria in gara 2 nel tripudio della pista che omaggia il cavaliere rosso che fa una passerella di applausi senza casco, a gustare meglio l’aria e la gioia che merita.
Finisce quarto nel mondiale dietro Toseland e Haga (battuto di soli 2 punti in una disperata rimonta a Magny Cours) e l’esordiente Biaggi arrivato terzo.
Troy medita vendetta.
A 39 anni in molti fanno notare a Bayliss che sarebbe ora di smettere di correre. La Ducati però gli affida la nuova 1098 e tra le moto non ufficiali della casa di Borgo Panigale in questa annata c’è anche Biaggi.
Il campione del mondo Toseland va in Motogp, dove fa coppia nella Yamaha Tech 3 con la vecchia conoscenza Sbk Colin Edwards.
Bayliss, alla faccia dei 39 anni, si prende subito gara 1 in Qatar e primato in classifica, che mai sarà messo in discussione, demolendo tutti nella sua Phillip Island con doppietta e pole, vincendo poi il titolo a Magny Cours con un terzo posto in gara 1, tre titoli nell’arco di appena 5 stagioni complete.
Non contento, vince gara 2 e si presenta a Portimao per l’ultimo round del mondiale.
La Ducati gli affida una moto con una livrea personalizzata e con gli aggiornamenti che saranno nella moto della stagione successiva. Bayliss domina i 44 giri delle due manche e dice che quella che ha appena guidato è la moto migliore di sempre.
Lo fa guardandola con gli occhi innamorati di chi sa che potrebbe dominare ancora.
E Bayliss domina a modo suo, sfidando ragazzini nella superbike australiana e tanto per cambiare, suonandole in pista vincendo a 50 anni a Phillip Island, suo regno incontrastato: “Non ho resistito alla tentazione di riprovarci“.
Un regno e una carriera vissuta velocemente e sempre col sorriso, dicendo grazie a chi gli chiedeva una foto e a chi gli diceva che Troy Bayliss non è stato semplicemente un pilota ma una grandissima, immensa, leggenda.